Ma dove vai?, se, proprio nell’anno europeo, il cavallo europeo non ce l’hai? Matteo fa un governo (quasi) del tutto senza competenze europee. E Giorgio, che dall’inizio dell’anno ce la canta che questo è l’anno dello spartiacque per l’Unione, della svolta tra rigore e crescita, sacrifici e occupazione, glielo vidima, avallando di fatto l’equivoco su cui gioca Renzi – e in cui molti cascano, perché sono candidi o perché fa loro comodo – che mancanza d’esperienza sia sinonimo di rottura con il passato e garanzia di cambiamento (in meglio).
Non si tratta, qui, di fare l’elogio di chi c’era e non c’è più, anche se, a mio avviso, Emma Bonino ed Enzo Moavero sono stati, agli Esteri ed agli Affari europei, ministri competenti ed efficaci. E neppure si tratta di bocciare a priori chi c’è e prima non c’era: Federica Mogherini è, sempre a mio avviso, persona attenta e preparata, una risorsa positiva della politica estera italiana.
Ma il dato di fatto è che c’è molta meno Europa nel Governo Renzi che nel Governo Letta (e pure nel Governo Monti). E che, per di più, c’è un’Europa più leggera, a scorrere i nomi e i curriculum dei ministri. Fra cui non figura – e, nell’anno delle elezioni europee e, soprattutto, della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, è assenza pesante- un ministro per gli Affari europei.
Se la replica è “avremo un buon sotto-segretario agli Affari europei”, perché il problema vero era che i ministri fossero 16 e non 17, peggio mi sento. Considerare gli Affari europei una dépendance degli Affari esteri è un sintomo di scarsa conoscenza di materia e problemi: la stessa Mogherini, quando divenne – due mesi or sono – responsabile degli Esteri e dell’Europa nella segreteria del Pd, espresse perplessità, perché – spiegò – la politica europea di un Paese Ue non è “roba” da affari esteri, visto che ne discendono i due terzi della legislazione nazionale.
Certo, il “buon sotto-segretario agli Affari europei” potrà finire sotto tutela diretta di Palazzo Chigi. Ma pure in questo caso peggio mi sento: perché Renzi non ha né l’esperienza né la preparazione internazionale ed europea dei suoi predecessori, Enrico Letta e Mario Monti; e l’umiltà d’imparare non pare un tratto forte del nuovo premier.
Il “quasi” fra parentesi all’inizio è funzione di Pier Carlo Padoan all’Economia, che può essere senz’altro equiparato a Fabrizio Saccomanni, per esperienza e per caratura economica internazionale ed europea: è stato direttore esecutivo per l’Italia all’Fmi a Washington e capo economista all’Ocse a Parigi. Ma anche qui nasce il sospetto d’un equivoco: il percorso di Padoan non ne fa di certo un uomo di rottura rispetto alle politiche economiche fin qui seguite dall’Ue, ma piuttosto di correzione di rotta. Sicuramente, oggi, all’Ecofin e all’Eurogruppo “stanno più sereni” che al Consiglio europeo o al Consiglio Affari generali.
Agli Esteri, la Mogherini, presidente della delegazione italiana nell’Assemblea atlantica, deve ancora acquisire la caratura internazionale ed europea della Bonino, che era stata, fra l’altro, commissario europeo dal 1995 al 1999 e poi ministro proprio degli Affari europei.
Padoan a parte, colpisce l’assenza dalla squadra di Renzi di un qualsiasi “volto noto” europeo, come lo erano Moavero, alto funzionario e giudice Ue, o Mario Mauro, a lungo parlamentare europeo.
È vero: i nomi, le persone contano, ma contano soprattutto i programmi. E bisogna vedere come si muoverà nell’Unione la squadra di Renzi, prima di darne un giudizio europeo. Ma le Istituzioni dell’Ue si preparano ad avere a che fare con interlocutori tutti nuovi, se non sconosciuti, in mesi chiave per l’integrazione e per l’Italia.