Il Dl Svuotacarceri convertito in legge dal Parlamento è l’ennesima piccola toppa a coprire una falla di una barca che fa acqua da tutte le parti. Digitando “svuotacarceri” su un motore di ricerca vengono fuori tutta una serie di provvedimenti adottati negli ultimi anni a cadenza quasi regolare. Se c’è la straordinaria necessità e urgenza di svuotare ciò che si sarebbe già svuotato appena cinque mesi prima, evidentemente qualcosa non funziona.

La novità più rilevante è l’aumento dei giorni di liberazione anticipata per chi espia la pena senza ricevere provvedimenti disciplinari. Persino amnistia e indulto, misure ben più incisive da più parti invocate come toccasana necessari, non possono che avere effetti temporanei. Lo si è visto nel 2006, quando nel giro di due anni si è tornati alle stesse condizioni di prima.

La verità è che il nostro governo deve dare risposte alla Corte europea dei diritti dell’uomo e questo non è che uno dei tanti interventi con cui si cercherà di imbastire un papocchio per provare a evitare le pesanti sanzioni che ci aspettano a maggio.

Quando si parla di questi argomenti si rischia di scivolare in polemiche tra opinioni che tendono a differenziarsi in maniera estrema. Partiamo da un dato di fatto incontrovertibile: il sovraffollamento genera condizioni insopportabili non solo per i detenuti ma anche per gli operatori dei penitenziari.

Più in generale, è l’intero settore della giustizia che versa in condizioni disastrose a causa di una legislazione eccessiva, contraddittoria, incoerente e scritta con i piedi. Ne esce compromessa la tutela dei diritti fondamentali per chi commette reati e ancor più per chi li subisce. Con pesanti risvolti, se vogliamo, anche in campo economico, dove concorrenza e investimenti non possono prosperare se non c’è certezza del diritto.

Solo con una razionalizzazione seria e organica dell’intera materia penale, con riforma profonda del Codice Rocco del ’31, si può pensare di porre rimedi efficaci e duraturi. Certo, le cose si complicano se per fare le riforme viene chiamato un condannato in via definitiva per reati gravi come la frode fiscale. È come se a giudicare sull’operato di un arbitro venisse chiamato un calciatore da lui stesso espulso. E allora è forse un bene se il Governo appena varato ha escluso (per ora) la giustizia dalle materie da trattare.

Ora, per chi avesse ancora tempo e voglia di leggere, entriamo nel merito di alcune norme introdotte con l’ultimo “svuota carceri”. Ci sono questioni che hanno favorito interessanti lezioni tenute con i miei studenti di diritto. La prima riguardava l’eventualità che il decreto non fosse stato convertito in legge entro i 60 giorni previsti dalla Costituzione. Il Senato si è espresso in extremis, senza “ghigliottine” e senza che il Governo in crisi potesse porre la questione di fiducia. Ci si domandava se la reiterazione del decreto (pratica molto diffusa ma di dubbia legittimità) rientrasse nell’ordinaria amministrazione che il Governo in carica mantiene fino alla nomina del nuovo esecutivo.

Normalmente, se il Parlamento non approva la legge di conversione, il decreto decade con effetti ex tunc come se non fosse mai esistito, cancellando anche il giudicato. In soldoni, chi era uscito beneficiando dell’aumento di liberazione anticipata avrebbe dovuto essere riacciuffato e riportato in gabbia. Un ripristino della situazione quo ante piuttosto improbabile, complicato peraltro dal principio del favor rei. Infatti, in casi simili (come per i decreti in materia tributaria, ad esempio), la dottrina propende per un’attenuazione del rigore della disciplina che non può che essere affidata al “buon senso” del magistrato. Il quale vede aumentare ancora una volta i margini della propria discrezionalità: proprio ciò che i condannati temono e osteggiano più di ogni altra cosa.

Non si tratta di una mera speculazione teorica in quanto la questione si riproporrà nei casi concreti in cui si dovrà giudicare sui condannati per i reati ricompresi nell’art. 4 bis (introdotto nell’Ordinamento Penitenziario col decreto Scotti-Martelli del ’92). Mentre nelle semplificazioni politico-giornalistiche si è parlato solo di “mafiosi”, nella realtà si tratta di tutta una serie di reati che, specie in una Casa di reclusione, riguarda la stragrande maggioranza dei detenuti.

Ora, finché è stato in vigore il decreto tutti, dimostrando un comportamento “positivo”, hanno potuto usufruire dei 75 giorni di liberazione anticipata (e alcuni magistrati di Sorveglianza li stanno tuttora concedendo). Dal momento in cui la legge è promulgata dal Presidente della Repubblica e entra in vigore, saranno esclusi. Questo a causa dei deputati leghisti, gli stessi che per anni hanno votato ogni sorta di legge “vergogna”, demolendo quel poco che rimaneva di certezza del diritto e salvando fior di mafiosi e malfattori. Stavolta, con uno scatto di ideologia ipocrita e per bieco calcolo elettoralistico, in sede di conversione sono riusciti a introdurre l’emendamento per cui la legge non si applica a quelli che rientrano nel 4 bis. Ma in quell’articolo sono elencati i benefici di legge e le misure alternative alla detenzione che non possono concedersi a coloro che hanno commesso certi reati particolarmente gravi, con un’unica eccezione esplicita e chiarissima: la liberazione anticipata, che va data a tutti.

Quindi non solo c’è disparità di trattamento tra chi è stato giudicato in costanza di decreto e chi successivamente è escluso dalla legge di conversione. Ma è la stessa ratio del 4 bis che va a farsi friggere. In questo marasma, gli unici che possono trarre giovamento dall’incongruità della normativa sono gli avvocati difensori. È facile prevedere ricorsi alla Corte Costituzionale, che sancirà l’illegittimità della legge proprio nel punto caro alla Lega.

E le corti continuano a intasarsi, i processi a allungarsi.

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