È l’anno zero per lo sci di fondo azzurro. Zero, come le medaglie vinte alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014. Non accadeva dai Giochi di Sarajevo 1984, esattamente trent’anni fa. Oggi si è chiusa un’era che nelle ultime stagioni aveva mostrato d’essere vicina al termine: a Vancouver 2010 l’Italia aveva conquistato solo un argento, bottino ben più magro delle quattro medaglie (di cui due d’oro) di Torino 2006. E l’allarme era già scattato un anno fa, ai Mondiali del 2013 in Val di Fiemme: giocati in casa e chiusi a bocca asciutta. Adesso la crisi viene ufficializzata dalle Olimpiadi.
Il miglior risultato a Sochi è stato il quinto posto della staffetta maschile 4x10km (dove però l’Italia era sempre stata fra le prime tre, prima del flop di Vancouver), seguito dal settimo di Gaia Vuerich nello sprint femminile. Qualche altro piazzamento nei primi quindici, ma niente medaglie. L’unica speranza concreta di podio è sfumata con l’eliminazione nelle semifinali dello sprint maschile di Federico Pellegrino, nuova stella della nazionale, tradito da un percorso troppo duro e forse dalla pressione di dover vestire a 23 anni i panni del salvatore della patria. Anche la gara di oggi, la 50 km, la maratona delle nevi che da tradizione chiude i Giochi, purtroppo non ha fatto eccezione: dietro al vincitore Alexander Legkov e a un podio tutto russo, il primo degli azzurri è stato Roland Clara, bravo ma solo 11esimo.
È un risultato che fa male per quello che lo sci di fondo ha rappresentato per lo sport invernale italiano. Innanzitutto il sesto posto nel medagliere assoluto con 34 medaglie. Ma più delle cifre contano i ricordi delle imprese dei grandi campioni: da Stefania Belmondo a Manuela Di Centa, alla mitica staffetta azzurra di Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner che nel 1994 a Lillehammer strappò clamorosamente l’oro ai padroni di casa della Norvegia. L’Italia li ha visti tutti splendere nelle Olimpiadi a cavallo tra Anni Novanta e Duemila, e poi ritirarsi. L’ultimo highlander di quella generazione, Giorgio Di Centa, a Sochi si è piazzato 12esimo nello skiathlon. A 42 anni è stata la sua ultima Olimpiade.
Difficile capire le ragioni della crisi. Allenatori, materiali, Federazione: in questi casi tutto finisce in discussione. Secondo Pietro Piller Cottrer, storico fondista italiano, la causa sarebbe un’altra, di natura quasi “sociale”. “Gli atleti si allenano, i tecnici sono competenti, come lo erano quando c’eravamo noi”, spiega a ilfattoquotidiano.it. “Però lo sci di fondo è un sport particolare, difficile: è fatica pura, ci vogliono anni prima di vedere i risultati. E a me sembra quasi che i ragazzi di oggi non siano più disposti a questo genere di sacrificio. Mi viene da dire che il problema riguardi i giovani italiani in senso lato, prima dei giovani fondisti italiani”.
La questione è a monte, alla base del movimento. E il venir meno dei risultati e di grandi campioni da imitare (componente fondamentale per l’approccio ad uno sport dei più piccoli) alimenta la spirale negativa. Piller Cottrer, ultimo medagliato olimpico azzurro (fu argento nella 15km tecnica libera a Vancouver) e oggi tecnico della nazionale B, fa il paragone con gli altri giganti della disciplina. “Qualche mese fa ero in Norvegia: in un solo skiclub c’erano più di 400 bambini. Quasi un terzo del nostro intero movimento giovanile. È chiaro che questi numeri poi si traducono in risultati diversi ad alto livello. Probabilmente in passato ci siamo abituati troppo bene, a competere contro questi colossi. Siamo stati a lungo oltre i nostri limiti”.
Parole che lasciano pensare ad un possibile ridimensionamento nei prossimi anni. Anche se sul futuro della nazionale azzurra Piller Cottrer resta moderatamente ottimista. “Le stagioni che verranno non saranno semplici: c’è un buco di una generazione che stiamo pagando a caro prezzo. Ma a Sochi abbiamo portato almeno 10 ragazzi under 25 che hanno grandi margini di miglioramento”. È il caso della già citata Vuerich, ad esempio, o di Francesco De Fabiani, classe ’93, 25esimo nella prima 50km della carriera. Senza dimenticare Pellegrino, che si candida ad essere un leader mondiale della specialità dello sprint. “Loro, insieme ad altri giovani del vivaio, possono aprire un nuovo ciclo”, conclude Pietro Piller Cottrer. Saranno anni di lavoro e ricambio generazionale, dunque. C’è una nazionale da ricostruire. In attesa di Pyeongchang 2018, dove l’Italia spera di far meglio di Sochi. Del resto, fare peggio sarà difficile.