L’annuncio è arrivato oggi dal Primo Ministro, Hazem Beblawy, alla tv di stato. Il governo egiziano ha presentato le dimissioni al presidente Adly Mansour. La decisione è arrivata dopo una riunione del gabinetto questa mattina durata appena 15 minuti. “Presentiamo le nostre dimissioni perché la prima fase della transizione democratica dopo la deposizione di Morsi è compiuta”, ha spiegato Beblawy riferendosi al referendum che lo scorso gennaio ha approvato la nuova costituzione egiziana.
Ma secondo molti analisti le dimissioni e il conseguente rimpasto sono l’ennesima fase per preparare la strada alla candidatura del capo delle forze armate, Abdel Fattah El Sisi, che nel governo ricopriva la carica di Ministro della Difesa. Da diverse settimane circolavano voci su un rimpasto che avrebbe permesso al capo delle forze armate di sganciarsi dal gabinetto di governo. Ma la decisione sembra arrivare inaspettata tanto che il ministro degli esteri Nabil Fahmi dichiara dalla sua visita in Congo di essere sorpreso dalla decisione di Beblawi. Secondo molti analisti la decisione sarebbe anche un modo per sostituire agli interni Mohammed Ibrahim. “Se il governo egiziano voleva eliminare il ministro degli Interni e lasciare El Sisi libero di annunciare la sua candidatura, è riuscito nella sua missione”, ha scritto su Twitter H.A. Hallyer, ricercatore di politica internazionale all’università di Harvard.
Il mandato di Ibrahim sì è contraddistinto anche per la feroce repressione contro gli oppositori portata avanti dalle forze di sicurezza centrale. Circa 1400 manifestanti sono rimasti uccisi nelle proteste di piazza in questi 7 mesi di governo, l’episodio più grave resta lo sgombero del sit in islamista di Rabaa el Adaweya il 14 agosto che causò circa 600 morti. Altra questione cruciale che può aver reso necessario un cambio di guida degli Interni è la sicurezza. Nonostante sia uno dei punti più forti della propaganda militare, la nuova ondata di attentati ha messo in seria crisi la macchina del consenso dell’esercito. Il gruppo terroristico Ansar Bayt al Maqdis, che ha rivendicato la maggior parte degli attacchi, è una delle organizzazioni al momento più attive a livello mondiale. L’ultimo attentato risale a domenica scorsa contro un bus di turisti coreani a Taba mentre un mese fa una bomba aveva colpito il quartier generale della polizia al centro del Cairo.
Il governo lascia immutata anche la disastrosa situazione economica che al momento è aggrappata ai prestiti esteri che i Paesi del Golfo, Arabia Saudita e Kuwait, hanno garantito dopo la deposizione di Morsi. L’economia e in particolare la questione del fabbisogno energetico sono i punti che potrebbero far crollare il consenso di El Sisi. Il sistema di sussidi energetici, che assorbe circa un quinto del prodotto interno lordo del paese e riduce la disponibilità di moneta straniera nelle casse statali, è un modello insostenibile e che con l’attuale boom demografico potrebbe presto portare a nuove rivolte di piazza se il governo non sarà capace di trovare una soluzione alternativa.
Ma per il momento l’ondata di supporto per El Sisi reggerà sino a quando il capo delle forze armate non andrà al governo. I media egiziani e internazionali danno già per scontata la sua corsa alla presidenza mentre nell’ultima settimana è apparsa per la prima volta anche quella che potrebbe essere la futura first lady, la signora Intisar Amin. Inoltre El Sisi avrebbe ben pochi avversari, al momento hanno presentato la loro candidatura solo il socialista nasseriano Hamdeen Sabbahi – che sembra aver perso il consenso dei rivoluzionari che lo fece arrivare terzo alle scorse presidenziali – e l’ex capo di stato maggiore Sami Anan. Le elezioni sono previste tra meno di due mesi ma dopo quanto accaduto oggi l’annuncio della candidatura di El Sisi potrebbe arrivare entro pochi giorni.