E’ il secondo appuntamento e Giulio mi invita a teatro. E’ un uomo simpatico, affascinante e ancora non sa che una delle cose alla quale sono più intollerante (oltre al glutine) sono le persone che durante uno spettacolo confabulano con il vicino o fanno rumore, disturbando chi ha bisogno di silenzio per entrare nel vivo della rappresentazione.
Abbiamo dei posti fantastici in platea. Il testo è di un contemporaneo e della trama so poco e niente, ma è esattamente quello di cui ho bisogno: abbandonarmi a 90 minuti di performance senza troppe aspettative.
Cala il buio e dietro di me due uomini cominciano a cincischiare.
Rimango in silenzio, confidando nella buona educazione e nell’auto gestione degli spettatori, ma purtroppo quel parlottare si infittisce ogni volta che entra un nuovo personaggio.
Dopo il primo “sssh” di circostanza mi volto seccata chiedendo esplicitamente di fare silenzio.
I due finalmente si placano, fin quando, nella scena madre del finale sento chiaramente uno dei due domandare all’altro “ma lui chi è?”.
Ero concentrata e commossa. Forse se non avessi capito chiaramente la domanda non mi sarei fatta distrarre in questo modo. Ma come si può chiedere dopo 90 minuti chi è l’attore principale?
Non riuscendo a tenere a bada la mia insofferenza mi giro sussurrando acidamente “ma come chi è??! E’ il protagonista!”.
Mi risponde in maniera educata e tranquilla “molte grazie” e nel rigirarmi sbuffo rumorosamente cercando di ritrovare la concentrazione per quell’ultima scena.
Applausi.
Luce in sala.
Mi infilo il cappotto aiutata da Giulio e solo in quel momento mi rendo conto che uno dei due signori che borbottavano porta gli occhiali da sole.
Nodo allo stomaco.
Nella mano destra tiene un bastone bianco.
Voglio sprofondare, sotterrarmi e darmi fuoco. L’unica cosa che posso fare però è quella di chiedere scusa a entrambi: “Mi dispiace moltissimo, non mi ero accorta che insomma.. ecco.. che lei fosse.. cieco. Se me ne fossi accorta forse.. beh ecco.. scusi”.
Prima che l’uomo con gli occhiali possa replicare ci pensa il suo accompagnatore: “Signorina si figuri, non c’è peggior cieco di quello che non vuol vedere”.