Se ti cade l’occhio su quattro che giocano a carte, e con lo sguardo rubi un bacio fugace indirizzato da uno al compagno, e il compagno risponde storcendo la bocca, e gli occhi dei due s’accendono d’improvvisa gioia, non stai assistendo a timide manifestazioni di una relazione passionale clandestina. Sei di fronte a una muta intesa, espressione della certezza di avere la mano (e magari la partita) in pugno.
I quattro stanno giocando a briscola, e i due che hanno l’asso e il tre di briscola, come due cecchini, sorvegliano ognuno un lato della strada. Nulla può sfuggire alla loro vista.
Scene da un matrimonio (al bar)
Nel gioco della briscola puoi anche accoppiarti con un partner diverso ogni volta, ma quando hai trovato il compagno ideale, quello con cui raggiungi la perfetta sintonia per l’esatta divisione dei ruoli (io conto i nostri punti, tu i loro; io memorizzo le briscole già uscite, tu i carichi), dimentichi d’un botto tutti gli amori precedenti, compreso il primo. Da quel momento la vostra più grande soddisfazione sarà quella di poter essere, agli occhi di tutti, la “coppia”.
Come nella vita reale, certo, anche al tavolo da gioco trovare il partner giusto non è semplice, ma le possibilità di scelta sono molte. C’è il giocatore timido, che può trovarsi più a suo agio con uno sfrontato che lo completi. C’è il logorroico, che a ogni mano considera tutte le eventuali ipotesi di gioco prima di chiederti «Hai un carico?», aspettandosi un laconico sì o no. C’è il classico esibizionista, dall’ego tanto sviluppato che può sopportarlo solo una pazientissima spalla; l’ansioso, che quando apri una mano con un liscio comincia già a pensare alla fine del mondo; lo stratega, che aspetta al varco gli avversari per imporsi come il Paul Cayard della briscola. E ci sono ancora i giocatori toccati da una stramaledetta fortuna; sono naturalmente i partner più ambiti, perché, con le loro capacità “soprannaturali”, riescono a risolvere a proprio vantaggio tutte le situazioni.
Segnali muti: inventati ad hoc?
Nel 1787, a Napoli, escono gli Elementi di logica, e psicologia. Formati dietro la scorta de’ più illustri metafisici di questo secolo. L’autore è l’abate Berardo Quartapelle, scienziato e agronomo teramano. Nel XXIII capitolo dell’opera il Quartapelle polemizza col sensista francese étienne Bonnot de Condillac, che riteneva impossibile, per un sordomuto, elaborare giudizi e pensieri astratti non elementari. L’abate porta l’esempio di un venticinquenne teramano, muto e sordo dalla nascita, perfettamente in grado di ragionare e far di conto, e, come giocatore di briscola, di calcolare i punti fatti senza dare l’impressione di usare le dita:
Il nostro Muto ha idee di numeri assai composti, e per se stesso sottoponendoli a calcolo, né arriva a conoscere tutto il valore, ed eccone la pruova. Egli giocando a quaranta carte, finito il primo giuoco, se avrà conseguito, per esempio, quindeci carte, le conta a cinque, ed indica di poi l’intiera somma colla dita. […] Ma oltre a questo giuoco egli ne esiegue alcuni altri più difficili, come per esempio quello che volgarmente dicesi della Briscola. In questo giuoco il Fante ha il valore di due punti, il Cavallo di tre, il Re di quattro; il tre di dieci, e l’Asso di undeci, e chi oltrepassa sessanta resta vincitore. Egli finito un tal giuoco scieglie le figure, i tre, e gli Assi, e mette poi da banda le altre carte, che non debbono entrare nel calcolo perché di niun valore; fatto ciò dispone in linea retta i tre, e se vi sono gli Assi li colloca in linea orizontale, e forma un’angolo retto; in un’altra parte unisce le figure, e cerca per quanto può di ridurre il loro valore a decine. Allora con una facilità grande senz’adoprar apparentemente le dita fa la somma di tutto, la quale se sarà maggiore di sessanta, o giustamente sessantuno, con una gioja, che gli si diffonde per tutto il viso, e con tripudio enuncia la vincita; altrimenti colla tristezza, e con gesti che l’accompagnano palesa la sua perdita, e paga il denaro (pp. 91-92).
Un passo meritevole di essere riportato quasi per intero, non solo per la storia in sé: ci dice che briscola – parola di probabile origine francese –, in genere ritenuta documentata in italiano, per la prima volta, negli anni Venti dell’Ottocento, circolava ben prima a Teramo.
Chissà se quel sordomuto, se avrà mai giocato in coppia, lanciava già smorfie o bacini al compagno, o alzava gli occhi al cielo per avvertirlo di avere un re.