Sia chiaro. Molti parlamentari non dicono mai nulla nelle aule di Camera e Senato, e specialmente nelle occasioni più alte, quando, ad esempio, un Presidente incaricato che cerca la fiducia illustra le sue linee programmatiche (e sull’esibizione di Matteo Renzi le idee sono diverse). Tutto è incentrato sul protagonista del momento, sui particolari, sui suoi tic, sul senso di novità anche estetico (ha messo la mano in tasca, ma va?, allora è un tipo spregiudicato, ci racconta delle sue telefonate e chissenefrega e via di questo passo).
Quando la palla passa poi ai gruppi parlamentari, non è raro, anzi è quasi la norma, che gli interventi siano vuoti esercizi di stile, drammatiche nonché ridicole autocertificazioni estetiche, il tentativo sterile e neanche apprezzabile di ottenere quel quarto d’ora di celebrità che non ti farà passare alla storia.
Ma ascoltare il complesso di quegli interventi restituisce comunque un’idea di fondo sul livello dei parlamentari, sono atti istruttivi che depongono sulla profondità dei nostri rappresentanti, ne definiscono il livello, ne tracciano i contorni. Facendomi poderosamente del male, da almeno un ventennio ascolto sempre tutto e alla fine sul tutto ragiono, tiro qualche piccola o grande conclusione che generalmente vira al depressivo, se non proprio al pessimismo cosmico.
È del tutto ovvio che nei confronti dei 5Stelle ci siano un sacco di aspettative. Almeno le aspettative di buona parte del Paese, quella che ha votato alle ultime elezioni, quella che ha intenzione di aggiungersi alle prossime e ovviamente anche quella (chissà se e quanto corposa) che ha intenzione invece di abbandonare il Movimento. E non si può non notare una divaricazione clamorosa, in termini di profondità politica, tra i discorsi che i deputati di Grillo tengono in Aula su singoli provvedimenti e cioè nello scorrere quotidiano della loro attività e l’occasione, certamente più scenografica e suggestiva, di intervenire sulla fiducia a un Presidente incaricato. Un’occasione che “merita” certamente qualcosa di studiato, di preparato, anche nel senso migliore della genuinità grillina.
Invece si è assistito incredibilmente a un ribaltamento della quotidiana realtà. Ciò che è la forza grillina, la forza dello studio delle materie, si è rivelata in questa circostanza come la più incredibile delle debolezze. Come se i grillini, non essendoci all’ordine del giorno dei provvedimenti precisi ma “solo” la fiducia a Renzi, avessero considerato quella seduta come una sagra paesana, legittimando il ricorso alla caciara lessicale. Se nel corso delle sedute sui vari ordini del giorno, deputati e senatori pentastellati si rivelano spesso come i migliori – nel senso di preparazione sui temi, di attenzione maniacale ai trucchi del legislatore che trasforma le leggi in un caravanserraglio di interessi loschi e diversi – nel caso dell’evento più strettamente politico, il livello si è abbassato paurosamente. Lasciando spazio a una sequenza di impressionante nulla, in cui gli interventi che si susseguivano erano intrisi di qualunquismo, di poteri forti buttati là perché comunque fa sensazione, di Wanne Marchi bugiarde come Renzi (anzi semmai il contrario, anche se l’imbonitrice emiliana era ben più che una bugiarda), di trilaterali, di soldi poco chiari, di “figli di Troika”, insomma una montagna di battutismo di nessuna grana politica esibito a puro fine spettacolare che di veramente spettacolare non aveva proprio niente.
Si è tentato in questa occasione di “essere Beppe Grillo” senza naturalmente il mezzo secolo di palcoscenico sulle spalle, illudendosi che quella fosse finalmente l’occasione per dire tutto e di tutto. Un po’ come ha fatto il leader in quel teledramma-streaming in cui ha strapazzato il Presidente del consiglio incaricato. Questa è una scelta di tempo profondamente sbagliata, e soprattutto controproducente.
A meno di non credere che così tanti voti, la prima volta non siano arrivati proprio per questo. Ma la seconda?