“I figli non danno la felicità”. Recitava così, qualche settimana fa, un trafiletto su Vanity Fair parlando di un libro uscito di recente in America, della scrittrice Jennifer Senior. Nel libro l’autrice spiega perché avere figli non renda più felici, ma anzi privi del divertimento la vita dei genitori.
Molte le ricerche citate a supporto di questa tesi – anche di Premi Nobel come Daniel Kahneman – dove il comune denominatore è: a) badare ai figli risulta meno piacevole che cucinare, schiacciare un sonnellino, guardare la tv, fare esercizi, parlare al telefono, fare la spesa; b) le coppie con figli sono più depresse di quelle senza; c) le madri sono più insoddisfatte dei padri.
Mettere al mondo dei figli, da un punto di vista antropologico, è del tutto naturale, ma rigettare questa teoria come il semplice risultato dell’ennesima ricerca universitaria, potrebbe essere superficiale.
Non è l’amore verso i propri figli che è qui oggetto di riflessione.
Ho due figlie e uno ai box di partenza, dunque il gioco “procreazione” ha trovato con me terreno fertile, eppure se penso alla mia vita pre-figli non posso non constatare che allora mi divertivo molto di più.
Per molti genitori è difficile ammetterlo ad alta voce, ed invece alle volte sarebbe bene gridarlo, foss’anche come sfogo terapeutico: ci sono momenti in cui i figli vorresti strozzarli!
Quando si svegliano nell’attimo in cui parte l’ultimo episodio della tua serie televisiva (o al calcio d’inizio della finale di Champions). Quando per la dodicesima volta cerchi di ripetere la stessa frase a tuo marito. Quando hai programmato una gita fuori porta coi tuoi amici e uno dei due inizia a vomitare tipo L’esorcista. Quando tua figlia e le sue amichette, lasciate senza sorveglianza per qualche minuto, imbrattano coi trucchi il tuo piumone matrimoniale. Quando dopo un periodo monacale tenti un avvicinamento a tuo marito e ti trovi uno di loro ai piedi del letto in stile Kathy Bates in Misery non deve morire.
E’ indubbio: una volta messo al mondo un figlio, niente sarà più come prima. E chi si illude – durante quella fase di limbo che dura il tempo di nove mesi – che così non sarà, mente a se stesso o è un ingenuo.
La vita cambia, eccome!
Prima viaggiavi con lo zaino in spalla dormendo negli ostelli, giocavi a Beer pong e il mattino dopo facevi colazione con due aspirine per poi tornare a letto. Cenavi sul divano con una coppetta da cinque euro di gelato, restavi in pigiama tutta la domenica. Insomma, ti compiacevi di avere il pieno controllo della tua vita.
Molti sono convinti che una volta avuti i figli la propria esistenza non solo cambi, ma finisca proprio. Rinunciare alla propria indipendenza spaventa e fa sì che la decisione cruciale venga posticipata alle calende greche.
Uno dei problemi è l’approccio alla genitorialità che le coppie “attempate” mettono in atto. Spesso si diventa dipendenti dai figli e agendo in modo ossessivo ed opprimente si lascia che l’universo dei piccoli permei tutto, appannando la nostra individualità.
Nel tentativo di riempire i figli con attenzioni, quality time, giochi e intrattenimento costanti, si tende a dimenticare la nostra vita, i nostri piaceri, il mondo che ci rendeva felici prima del loro arrivo.
E alla fine, l’educazione maniaco-compulsiva finisce per scontentare un po’ tutti.
Con figli al seguito, dormire in spiaggia in vacanza su un’isola greca potrebbe non ricapitare più, è vero; ma rassegnarsi per loro ad una vita priva di stimoli è uno sbaglio che si può scegliere di non commettere.
Si ascoltava Guccini in abitacoli fumosi giurando di non cambiare mai, ma anche Il Guccio si è tolto l’eskimo perché in fondo, una vita uguale a se stessa ne perde in poesia.
Il passato è stato grandioso, ma nemmeno un premio Nobel può dirci come vivere un folgorante presente.