Ambiente & Veleni

Patrimonio artistico, Monteruscello di Pozzuoli: tra abbandono e riutilizzo l’archeologia è ‘sbagliata’

Monteruscello è il quartiere aggiunto a Pozzuoli, negli anni Ottanta, in seguito al bradisismo che ha interessato la città campana. Del progetto iniziale non tutto è stato compiuto. Così quella che non sarebbe dovuta diventare una “città-dormitorio”, nei fatti ha finito per esserlo. Un mega quartiere di quasi 4 chilometri quadrati, unito a Pozzuoli dalla la SS. 7 Quater, “la Domitiana”.

Tra le sagome degli edifici delle case popolari che si affacciano sullo scacchiere ortogonale generato da grandi viali alberati,  nessuno luogo di aggregazione. In compenso molto abbandono. Sia di strutture che di verde. Come accade al grande Centro commerciale di via Modigliani e alla struttura mercatale al coperto di via Saba, l’area di via Pirandello, via Vittorini, via Brancati e molte altre. Non diversamente dal centro tennistico di via De Curtis, che avrebbe dovuto ospitare competizioni di livello europeo ed invece non è mai stato completato.

Per i circa 30mila abitanti, il doppio di quelli che risiedono nel quartiere Zen di Palermo, della frazione immensa di Pozzuoli, anche diverse aree archeologiche. Quella di via Saba, perimetrata su tre lati dai parallelepipedi bianchi che vi affacciano, è la più famosa. Nessun pannello che ne segnali l’esistenza. Che fornisca qualche informazione su quel che dovrebbe esserci nello spazio recintato. Quasi sempre la vegetazione spontanea, che continua a crescere indisturbata, non lascia intravvedere nulla dall’esterno. Entrando, tra le erbacce, si notano bottiglie di plastica e vetro, ombrelli, immondizie di ogni tipo. Al di sotto delle coperture sorrette da tubi innocenti, in più punti piegati, ci sono i resti di un impianto rustico di età romana, scoperti e scavati dalla Soprintendenza archeologica in occasione degli sterri per la realizzazione degli edifici del quartiere. Muri in opera reticolata e piccole vasche, mosaici pavimentali e materiali antichi che emergono qua e là. Il sito nel più completo abbandono. Da anni. L’unico tentativo di riappropriazione della villa alla comunità quella di alcuni pensionati della zona. Che al riparo dalle intemperie sotto le tettoie, hanno iniziato ad utilizzare l’area per giocare a carte. Un tavolo e qualche sedia sono risultati sufficienti per allestire il loro nuovo spazio ludico. Ma intanto nulla è cambiato intorno. Tra erbacce e immondizie l’area archeologica continua ad essere un luogo di degrado. Così sostanzialmente inutile. Va poco meglio ai resti in opera reticolata ai quali si aggiunge un cunicolo per il deflusso delle acque, riscoperti recentemente in via De Curtis, in occasione dell’intervento di pulizia e manutenzione disposto dal Comune.

Ben altra sorte hanno avuto le parti superstiti della villa di Quintus Egnatius Taurinus, identificata attraverso una serie di indagini alle coste di Cuma, a non molta distanza da Monteruscello, in ogni caso ugualmente nel territorio puteolano. Si vedono i resti di almeno due terrazzamenti in declivio verso il mare, costituiti da ambienti speculari, alcuni dei quali si aprivano su una porticus. Ma anche le due grandi cisterne destinate a colmare il dislivello tra le due terrazze. Oltre ad alcuni ambienti da riferirsi alla pars urbana e un nucleo a destinazione termale nel quale si conservano diversi mosaici pavimentali. Ogni cosa si segnala per stato di conservazione. D’altra parte quel che resta del grande impianto riferito al proconsole di età adrianea è inserito all’interno di Villa Taurinus, la “dimora storica completamente ristrutturata, ideale per ospitare… eventi e ricevimenti… inserita in un paesaggio meraviglioso dal quale si gode di una vista mozzafiato…” come si legge nel sito online della Residenza per eventi.

Così gli ospiti di congressi e conferenze, feste private, eventi e ricevimenti, passeggiando tra le sale interne ed esterne, oltre a godere del paesaggio dalle grandi terrazze possono anche buttare un occhio sulle strutture superstiti di una delle grandi ville che in età romana furono realizzate nella zona. Per gli altri, forse, sarà un po’ meno agevole osservare muri in opera reticolata e rivestimento in cocci pesto delle cisterne. Ma in fondo, verrebbe da dire, ci si può pur accontentare di come sono stati trattati questi resti. Perché, nell’arco di pochi chilometri, in una delle regioni dalla densità di siti archeologici più alta d’Italia, a breve distanza da una città antica (Puteoli) che continua a sprofondare, si sperimentano con efficacia i due, contrapposti, modelli di tutela del patrimonio archeologico. Da un lato l’abbandono quasi senza speranza della villa di via Saba, nella quale il degrado dell’area archeologica è al contempo causa ed effetto di quello urbano e sociale. Il collasso delle murature un problema, quanto l’utilizzo dell’area come discarica. Dall’altro il restauro e la conservazione della villa di Quintus Egnatius Taurinus, la sua “globalizzazione” con la Villa per ricevimenti. I resti antichi la quinta di scena nel quale sono i tavoli delle sale da pranzo oppure i lettini per il solarium. La tutela, così come la connessa valorizzazione, evidentemente assenti a via Saba, qui sono mascherate. Sembra che ci siano, ma in realtà sono assenti. Quel che nel degrado e nell’abbandono di via Saba potrebbe ancora essere patrimonio di tutti, a Villa Taurinus non lo è più.

Quel che accade in quest’angolo del territorio di Pozzuoli, di tanto in tanto, si riconosce anche altrove, in Italia. Dimostrando ancora una volta quanto tempo si sia perso. Sostanzialmente decidendo di lasciare nell’incuria la gran parte del patrimonio archeologico. Accettando, più raramente, che ville ed edifici termali, anfiteatri e teatri, potessero continuare ad esistere solo se rigenerati. Inseriti all’interno di edifici dalle varie funzioni. Forse si dovrebbe ritrovare la forza di elaborare una strategia alternativa. Insomma qualcosa che non consideri il patrimonio archeologico il petrolio d’Italia. Né, tantomeno, una fastidiosa zavorra. Qualcosa che non sia comunque un’archeologia “sbagliata”.