Gli istituti creditori del polo energetico dell'editore di Repubblica iniziano a considerare l'ipotesi di diventare azionisti convertendo in azioni 500 milioni degli oltre 1,8 miliardi di crediti vantati verso la società, che sembra essere l'unica strada per evitare il crac del gruppo
Le banche creditrici della Sorgenia dei De Benedetti cominciano a guardare in faccia la realtà. E iniziano a considerare seriamente l’ipotesi di dover diventare azioniste del polo energetico dell’editore di Repubblica e L’Espresso convertendo in azioni 500 milioni degli oltre 1,8 miliardi di crediti vantati verso il gruppo. Non si tratta di una prospettiva rosea per Mps, Intesa, Unicredit e Mediobanca che sono fra i principali finanziatori della controllata di Cir.
Ma piuttosto di una strada a vicolo cieco: come riferisce il Corriere della Sera, più il tempo passa, più l’ingresso delle banche nell’azionariato di Sorgenia sembra essere l’unica alternativa possibile per evitare il crac dell’azienda gravata da 1,86 miliardi di debiti. E il cui fallimento avrebbe un impatto estremamente negativo sui conti degli istituti di credito finanziatori. In realtà, le banche creditrici preferirebbero di gran lunga la prospettiva di un’iniezione di liquidità finalizzata ad abbattere il debito di 600 milioni. E hanno già invitato il presidente di Cir, Rodolfo De Benedetti, a considerare la possibilità di iniettare 300 milioni di nuova liquidità in Sorgenia. Ma l’azionista della società energetica non è disposto a sborsare più di un centinaio di milioni. Di qui il braccio di ferro fra gli istituti di credito e De Benedetti che però sembra già in vantaggio nella partita: Cir non ha rilasciato garanzie dirette sul debito di Sorgenia.
Così, come spiegano gli analisti di Equita, alla holding di De Benedetti converrebbe azzerare il valore della controllata e non partecipare alla ricapitalizzazione, mantenendo cassa e flessibilità finanziaria. Anche perché la quota in questione è iscritta in bilancio per appena 196 milioni. Non a caso, del resto, l’azzeramento della partecipazione è stata la strada scelta dal gruppo austriaco Verbund, storico socio di De Benedetti nell’avventura Sorgenia. “Siamo solo all’inizio della discussione”, ha intanto ammonito il numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni.
Ma gli incontri fra De Benedetti e le banche si susseguono a ritmo serrato. Mercoledì 26 febbraio è previsto un nuovo round per cercare una soluzione condivisa alla questione del debito di Sorgenia, che tra l’altro controlla il 39% della Tirreno Power su cui indaga la Procura di Savona per danno ambientale e omicidio colposo. Ma in questo complesso scenario non si possono escludere colpi di scena in cui potrebbe avere un ruolo anche il nuovo governo guidato da Matteo Renzi, al quale Carlo De Benedetti è molto vicino.
Tanto più che dopo la bad bank per alleggerire le banche dai crediti difficili, in queste settimane è tornata di attualità anche la bad company dell’energia in cui, come ha riportato Il Giornale della famiglia Berlusconi, verrebbero richiesti allo Stato circa 250 milioni in sovvenzioni per ridurre l’eccesso di capacità energetica e sostenere così le aziende del settore in difficoltà. Il progetto prevede infatti la costituzione di una nuova società in cui far confluire diverse centrali di proprietà di Sorgenia, E.ON e la Edipower della multiutility lombarda A2A nell’ambito di un’intesa per ridurre di 12.500 megawatt l’energia prodotta. Una “soluzione di sistema” che piace a De Benedetti, ai sindaci azionisti e alle banche. E in particolare al banchiere bresciano Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo. Ma che rischia di finire in bolletta.