A sinistra, credo, lo abbiano completamente dimenticato. A destra se ne ricordano quando si tratta di prendere le difese della loro gente o dei loro popoli. Sta di fatto che è dovuto intervenire Erri De Luca con una frase ottocentesca, condivisibile o meno, per ricordare agli italiani che sopravvive – nei meandri di un diritto penale voluto dai fascisti e passato indenne in questi ultimi 65 anni – il reato di opinione. È intervenuto a suo modo: auspicando il sabotaggio, nella questione della Val di Susa e del treno ad alta velocità, e ricevendone, oltre che qualche plauso, anche una denuncia penale per l’espressione utilizzata. Una cosa arcaica, medievale e, non a caso, recepita da un codice, quale quello del prof. Rocco, dei bei tempi che furono.
Il fatto che si possa punire penalmente una opinione, per quanto bizzarra e stravagante, in un mondo dove ormai la conta delle opinioni bizzarre e stravaganti è impossibile è, a mio parere, annichilente. Un valente magistrato, in ossequio alla obbligatorietà della azione penale, al contrario lo ha trovato evidentemente valido motivo per intraprendere un burocratico iter dagli esiti incerti.
Rimane una riflessione su un reato che vorrebbe sanzionare idee, opinioni, pensieri. Una tipologia di reato che i radicali avrebbero voluto spazzare via e che, al contrario, viene periodicamente riesumato seguendo la logica dell”‘universalmente condiviso”. Per il negazionismo dovettero intervenire gli storici e per l’omofobia non c’è stato nulla da fare. L’ansia di essere politicamente corretti, almeno nell’apparenza, ha prevalso su un principio che in democrazia non dovrebbe essere nemmeno discusso: la libertà di raccontare o esprimere anche solenni cazzate.
Rimane l’illusione che si possa educare un popolo o una comunità impartendo sanzioni o galera e imprimendo un giusto senso di marcia alla opinione altrui. Il desiderio, mai sopito in chi governa e nelle componenti sociali più benpensanti, di una armonia di concetti e considerazioni in cui l’inquietudine dissonante è solamente meritevole di giudizio penale e pubblico ludibrio.
C’è solo da sperare che a fronte della riesumazione di simili, clericali posizioni affiori nella nostra memoria anche un altro concetto ormai in disuso: quello del pensiero reazionario che più dell’abusato termine “fascista” identifica mentalità e attitudine di chi pensa che un’idea (ripeto per quanto bizzarra e stravagante) debba necessariamente, se non in linea, subire al posto di una risata di scherno una bella punizione. Se possibile esemplare.
E ci rimane, eredità di vero regime, il reato di opinione, che di suo pare uno scherzo di natura giuridica. Ed, invece, trova ancora oggi magistrati che lo prendono sul serio.