Daniele Nardi, lo scalatore italiano che tenterà di raggiungere la vetta del Nanga Parbat, si sta allenando tra il campo base e il campo 1, che ha posizionato a 4990 metri di altezza. Continua a nevicare e questo sta rallentando tutti i suoi progetti di massima per salite e discese. Esercizi propedeutici e necessari per acclimatarsi e raggiungere così in perfetta forma il momento in cui deciderà di affrontare e arrivare lì… sulla vetta di quella montagna, che con i suoi 8125 metri è tra le nove più alte del mondo. Il programma di Daniele in questi giorni è quello di superare quota 6000 metri per completare definitivamente l’acclimatazione necessaria e tentare quindi la scalata della “montagna assassina”.
Qualche giorno fa, dopo aver atteso al campo base che finisse il brutto tempo, Daniele Nardi ha iniziato ad arrampicarsi, zaino in spalla, complice finalmente una bella giornata di sole con l’intenzione di arrivare a quota 5200. Ha dovuto superare e attraversare canaloni e crepacci per arrivare al punto dove ipoteticamente aveva pensato di piazzare la tenda. Il ghiacciaio è cambiato, ci sono stati un po’ di crolli e un enorme seracco è venuto giù. E’ sera ed è l’ora della cena. Dopo aver cenato su delle rocce, essendosi abbassata di molto la temperatura, decide di rientrare in tenda. Deve dormire un po’ per poter poi continuare ad arrampicarsi. E’ solo. Lui, le montagne ghiacciate e il silenzio assoluto. Così racconta quel momento: “Mi infilo nel sacco a pelo e mentre accendo il fornello per scaldare l’atmosfera, guardo al di là delle tendine il sole calare dietro il Karakorum. La vista è mozzafiato, il ghiacciaio che ho di fronte diventa rosato, due pinnacoli di ghiaccio e di roccia sembrano far da guardia al Nanga Parbat. Lo sperone roccioso in particolar modo è inquietante, sembra un uomo gigantesco seduto in attesa di qualcosa che guarda il ghiacciaio Diamir al fondo valle”.
“Mentre chiudo le tendine penso alla mia solitudine su queste montagne, tiro la cerniera del sacco a pelo più che posso, metto la radio e il lettore mp3 con qualche batteria nelle tasche e in pace, senza rumori alcuni intorno, cerco di prender sonno. Qualsiasi cosa accada ora non ci sarà nessuno che potrà aiutarmi. Troppo distante, troppo difficile arrivare qui, nessuno sa esattamente dove sono se non che qualche indicazione di massima del ghiacciaio che ho attraversato di cui non so nemmeno il nome”. Ghiaccio, montagne buie e musica. Meglio non pensare troppo. Meglio dormire un po’ perché domattina presto è necessario ripartire.
E infatti, neanche un’ora di sonno e via. E’ ancora notte quando Daniele comincia a risalire il costone. Al buio deve fare ancora più attenzione. Con un pezzo di corda e qualche vite da ghiaccio riesce ad arrivare in cresta dove il vento si fa sentire forte. Deve aver fatto presto perché ancora non appare l’alba quando si rende conto di essere arrivato dove si era ripromesso. Sì, infatti ecco Punta Piccola, una cimetta, come la chiama lui, di 5900m. Sulle carte però tutte le altre cime non hanno nomi, chissà quindi se qualcuno le ha mai scalate? Il vento impetuoso lo sposta da ogni parte per cui decide di ripararsi dentro un crepaccio. Bisogna fare in fretta perché sta cominciando a perdere sensibilità al mignolo della mano sinistra.
Dentro la “tana” di ghiaccio, al riparo del forte vento, si rilassa e si lascia andare. Ripensa all’estate, al mare caldo e alle isole ponziane. Se faccio tutto questo, pensa, è perché lo amo troppo. Ed è con questo pensiero in testa che comincia a ridiscendere. Una discesa difficile e a tappe. Un po’ dorme, un po’ si trastulla nell’attesa di poter fare finalmente ritorno al campo base dove già in lontananza il profumo acre di aglio e di spezie lo avvolge e lo rinfranca.
…continua