La Fondazione Carige non molla. E come nel caso Mps, la ricapitalizzazione da 800 milioni di Banca Carige slitta. Almeno nella sostanza. Perché il consiglio dell’istituto guidato da Piero Montani trova una soluzione di compromesso per salvare la faccia all’ente deliberando la ricapitalizzazione entro il 31 marzo come nelle attese di Bankitalia. Ma con esecuzione nel mese di giugno come nei desiderata della Fondazione, cui fa capo il 46,5% dell’istituto di credito. In questo modo, si conclude senza strappi il braccio di ferro fra il management della banca, propenso a non far slittare l’aumento di capitale, e la Fondazione azionista, che chiedeva, invece, un differimento.

In più Montani evita ulteriori polemiche al neo­presidente dell’ente, Paolo Momigliano, accusato dai due consiglieri dimissionari, i giuristi Andrea D’Angelo e Guido Alpa, di essere più interessato alle sorti dell’istituto di credito che non al territorio. Lo slittamento della ricapitalizzazione rischia però di essere controproducente perché a stretto giro saranno diverse le banche a chiedere denaro fresco al mercato. Innanzitutto il Banco Popolare per 1,5 miliardi. Poi seguiranno Bpm (per 500 milioni) e Popolare di Vicenza (per un altro miliardo) per arrivare a giugno con il pezzo forte: il Monte dei Paschi. L’istituto senese tornerà a batter cassa sul mercato nell’ambito di una ricapitalizzazione da 3 miliardi, che il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola avrebbero voluto realizzare già lo scorso gennaio.

A questo punto, ottenuto più tempo, tutti gli sforzi della Fondazione Carige sono concentrati sul tentativo di evitare di ridurre al 14% la propria partecipazione post­ ricapitalizzazione. E contemporaneamente sull’obiettivo di trovare sin da subito un alleato per un “investimento di progetto” finalizzato al governo congiunto della banca attraverso un patto di sindacato. Niente soci finanziari, insomma, ma un cavaliere bianco come l’industriale Vittorio Malacalza o anche il finanziere Andrea Bonomi con la sua Investindustrial. Nuovi azionisti che consentano alla Fondazione, come in passato, di continuare ad avere un ruolo centrale nella gestione della banca.

Del resto, a parte gli amici degli amici di cui si sta occupando la magistratura, è proprio il territorio a rischiare di fare ancora le spese dell’eventuale impegno di capitali dell’ente nella ricapitalizzazione di Banca Carige con un assottigliamento dei finanziamenti dedicati ai progetti locali. Del resto già da tempo le erogazioni a scopo sociale e culturale hanno iniziato a ridimensionarsi. Nel 2012, ad esempio, l’ente genovese ha impegnato 15 milioni per lo sviluppo locale, per l’edilizia popolare, per la cultura, il volontariato e la ricerca scientifica. La cifra però è pari a poco più della metà di quanto stanziato dalla Fondazione Carige dieci anni prima quando l’ente finanziò ben 367 pratiche per una erogazione complessiva da 26 milioni di euro.

Inoltre la somma complessiva destinata ai progetti sul territorio, che sono alla base della ratio normativa che ha istituito le Fondazioni, è davvero ben poca cosa se confrontata con i 400 milioni che l’ente dovrebbe sborsare nel caso in cui decidesse di mantenere inalterata la sua partecipazione in Carige. Tuttavia, come spiegato in occasione della Giornata del risparmio, dal presidente delle Acri, l’associazione delle Fondazioni e delle casse di risparmio spa, Giuseppe Guzzetti, “grazie a questo impegno” degli enti, “le banche italiane non hanno dovuto ricorrere al sostegno pubblico”. In altre parole, con l’intervento in gioco delle Fondazioni si è “evitato che per rafforzare i patrimoni delle banche italiane entrasse in campo lo Stato, e quindi i soldi del contribuente”. Eccezion fatta, resta inteso, per il Monte dei Paschi di Siena.

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