Ora che il rottamatore di politici è arrivato al governo, sarebbe ora di trovare un rottamatore di banchieri. Anche senza dare giudizi di merito, è sempre più evidente che il sistema creditizio italiano – soprattutto nella provincia – ha una sola priorità: conservare lo status quo e i rapporti di potere che ne derivano. Il presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, 82 anni, ha detto al Financial Times che crede “nel futuro dell’Italia, forse non domani, ma dopodomani”. E ha anche spiegato che il “capitalismo di relazione” non è “la principale causa del fallimento italiano”. Excusatio non petita…
Di sicuro le relazioni tra capitalisti hanno portato più benefici ai debitori che ai creditori (Romain Zaleski apre circoli del bridge, gli azionisti di Intesa sono oramai rassegnati a non rivedere più il miliardo di euro che il finanziere bresciano amico di Bazoli deve loro). Siamo tutti felici per la serenità di Bazoli, ma non è di buon auspicio per alcun tipo di rinnovamento. E Intesa è la capitale del sistema creditizio italiano, in Provincia è anche peggio. A Siena la Fondazione di Antonella Mansi ha vinto contro Alessandro Profumo, ad della banca controllata: l’aumento di capitale da 3 miliardi per ripagare i Monti Bond è rinviato a giugno. A Genova la Fondazione azionista della banca ha fatto la stessa scelta: rimandare la ricapitalizzazione di di Carige da 800 milioni di euro a giugno, mese in cui si sta creando un pericoloso ingorgo.
Con la conclusione del primo esame europeo sui bilanci bancari saranno tanti gli istituti che chiederanno risorse al mercato. Le Fondazioni stanno solo cercando di rimandare l’inevitabile, cioè il momento in cui perderanno il controllo su quella formidabile fonte di potere e dividendi che sono state per due decenni le banche ereditate dalla privatizzazione. La Banca d’Italia sta provando – sia pure con il garbo e la calma che le sono propri – a imporre qualche cambiamento: prima si sono ribellate le banche popolari (quelle in cui ogni azionista vale uno, a prescindere dal capitale che detiene, con i risultati che si sono visti in Bpm). Adesso, scrive il Sole 24 Ore, anche le banche di credito cooperativo si rifiutano di introdurre gli elementi di trasparenza e separazione dei poteri richieste da via Nazionale.
Mentre i talk show si riempiono di prediche contro la stretta creditizia (colpa delle banche, della recessione e delle regole europee e forse di una bolla pre-crisi), banchieri e capi delle fondazioni azioniste si preoccupano soltanto di proteggere le poche sterpaglie sopravvissute della “foresta pietrificata” del credito. Se non ci sarà qualcuno che si prenda l’onere di rottamare banche e banchieri ormai fuori tempo, ci penserà il mercato. E sarà più doloroso per tutti.
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