Sono tornati gli uccellini. Sono tornati in tre, come l’anno scorso e quello prima; un po’ prima quest’anno però, si immagina per il caldo che fa. Chi siano questi uccellini non si capisce. Si fermano tutti e tre sull’antenna tv, sono neri e violetti come gazze, piccoli come ciurli, e fanno un casino, ma un casino che nemmeno un merlo indiano potrebbe stargli alla pari. Stanno dunque sull’antenna tutti e tre e parlano, parlano, scricchiolano e starnazzano, belano e gemono, fischiano e uggiolano. La mattina presto si sentono come dei bambini piangere, di freddo, di fame, chi lo sa?, poi, passata l’ora di colazione, è come se fosse arrivata una combriccola di marmotte fischianti, poi usignoli confusi dal jet-lag, poi gatti in estasi e zuffe di condor. Tutto quanto quei tre uccellini, lì sull’antenna.

Ogni tanto uno prende e se ne va sul tetto di fronte, uno a caso dei tre, così, come se si fosse stufato, e gli altri allora lo chiamano, lo chiamano con un verso di speciale melanconia, neanche avessero, di già?, nostalgia di un perduto amore. E così, eccoli che tornano assieme a concertare quella loro babele interraziale, interspecifica, interplanetaria. Di cosa discorrono, che cosa annunciano, perché sono qui? Sono stati osservati a lungo e con attenzione, sono stati fotografati, si sono allestiti consulti con le massime autorità uccelliere, ma nessuno sa ancora dire chi sono. Così che per noi sono solo i tre uccellini. Non come i tre porcellini, che erano vacui e furbetti, ma come i Tre Magi, colmi di altrettanto mistero e profezia.

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