Gli elogi di Berlusconi, il tifo sperticato di Ferrara e di Sallusti. Persino un blog fotografico, “Renzi che fa cose di destra”, ed è facile capire quanto per il neo-premier sia urgente, indispensabile, trovare il modo di ricollegarsi alla sua area di riferimento – la sinistra – e provare a cancellare l’idea alquanto diffusa che nel Pd ci sia finito per caso, perché avrebbe indifferentemente potuto stare con Forza Italia, i centristi o chiunque altro. Bene, la strada scelta è stata la prefazione a un classico di Norberto Bobbio (Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica) riedito da Donzelli. Con la palese ambizione di porsi alla base di un nuovo ciclo, di un’«era Renzi», forse di un nuovo ventennio, agganciandosi al saggio uscito all’inizio della «vecchia era», nel 1994: l’anno della discesa in campo e della vittoria berlusconiana, della sparizione della Dc e dell’emergere di un bipolarismo fino ad allora sconosciuto in Italia.
L’operazione è tutta politica. E si risolve nell’esortazione a sostituire l’antico discrimine che passava per l’antinomia uguaglianza/diseguaglianza con la nuova diade conservazione vs. innovazione oppure con movimento vs. stagnazione, dove ovviamente la sinistra è forza di innovazione e di movimento contro una destra votata al mantenimento dello status quo. Ma servirà ben più di una prefazione per dimostrare l’assunto, che almeno in Italia non ha alcun fondamento nella realtà. Le forze della conservazione, qui, non solo sono equamente divise tra destra, sinistra e centro, ma sono capaci di trovare solidarietà decisive e trasversali in tutti i momenti topici della Nazione: basti pensare alla rielezione di Napolitano e a tutta la travagliata vicenda dei governi nell’ultimo anno, ma non solo. L’idea di “movimento” resta marginale in entrambi gli schieramenti politici: le vicende referendarie sull’acqua e la riforma elettorale sono lì a dimostrarlo, nella loro verità dura come pietra. E l’intero cotè dei due schieramenti resta votato all’immobilismo: immobili i loro giornali, la loro satira, il loro modo di stare in tv o sui palchi. Certo, il conservatorismo della destra è più evidente e rivendicato: uno come Giovanardi, a sinistra non c’è. Ma all’atto pratico, qual è una “cosa nuova” che la sinistra può rivendicare per se stessa?
L’idea di rifondare la sinistra sostituendo la parola «uguaglianza» con la capacità «di vivere il costante movimento dei tempi presenti» (qualsiasi cosa significhi) non può essere solo enunciata. Ha bisogno di un atto fondativo. Blair col New Labour, Cameron con la Big Society, persino Bush col suo “capitalismo compassionevole”, affermarono le loro svolte politiche attraverso un colossale e imprevisto consenso popolare. Insomma, si cimentarono con le elezioni e le vinsero. Renzi ha scelto di non farlo. Dovrà trovare un altro beau gest a cui appendere il binomio sinistra/rinnovamento, compiere lo “strappo” che è il fondamento di ogni leadership di lunga durata: non un’operazione di palazzo come è stata la cacciata di Letta, non un’abile scalata del potere interno come è stata l’avventura congressuale, ma qualcosa che segni un “prima” e un “dopo” davanti al Paese. Non ha molto tempo per farlo, prima di essere consegnato alla sorte dei troppi Gorbaciov italiani dell’ultimo ventennio: grandi speranze, fremiti rivoluzionari, parole nuove, e poi arriva Boris Eltsin, sale su un carro armato e i «tempi presenti» se li prende lui.