La Guardia di finanza ha smantellato un’organizzazione, con base nel Modenese e ramificazioni in altre zone d’Italia, dedita a un vasto traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi dall’Italia verso l’Africa. Quattro persone sono agli arresti domiciliari, 41 le denunce, sequestrati quattro siti di stoccaggio in Emilia Romagna e i veicoli usati per l’attività illecita. Per superare i controlli doganali erano state costituite due Onlus per garantire una copertura formale ai traffici. Le Fiamme gialle hanno scoperto che trasportatori, spedizionieri doganali, facchini, gruisti e altre figure professionali, avvalendosi delle proprie strutture aziendali, spedivano verso l’Africa tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, stipati all’interno di container. L’operazione ‘Clean up’, avviata a giugno 2012 e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, hanno permesso di individuare i quattro siti di stoccaggio, ubicati principalmente nel modenese, nei quali venivano sversati materiali tecnologici obsoleti (monitor, pc, stampanti), oltre a migliaia di elettrodomestici, autovetture demolite e radiate dal Pra, batterie per veicoli esauste, estintori, pneumatici per auto, che successivamente venivano caricati sui container imbarcati al porto di Genova con destinazione Africa (prevalentemente Ghana e Nigeria).
Secondo uno studio del Programma Ambiente della Nazioni Unite, solo un terzo di questa merce sarebbe diretta al recupero e al riciclaggio, mentre la maggior parte – dopo aver viaggiato tra i materiali legittimi per sfuggire ai controlli doganali – finirebbe in discariche non controllate, miniere abbandonate e cave di ghiaia. Oltre ai siti, inoltre, l’organizzazione effettuava un servizio “su misura” per il cliente, andando a posizionare i container vuoti nelle località indicate dai committenti, provvedendo poi al successivo ritiro. Un’attività è svolta principalmente nella provincia di Modena ma anche in altre province dell’Emilia Romagna (Bologna, Reggio Emilia, Ferrara, Ravenna, Piacenza e Forli-Cesena) e in Lombardia, Veneto, Piemonte e Lazio. Solitamente le operazioni di carico dei container avvenivano nel fine settimana, e in particolare di notte, per non destare sospetti e diminuire le possibilità di essere scoperti. Gli investigatori hanno inoltre scoperto che, per superare i controlli doganali, l’organizzazione si avvaleva di due Onlus con finalità di solidarietà verso i popoli africani, costituite per garantire una copertura formale ai traffici, attraverso l’emissione di fatture pro-forma giustificative delle esportazioni. Gli ingenti quantitativi di rifiuti speciali destinati allo smaltimento – all’atto del controllo doganale – venivano fatti passare per beni oggetto di caritatevole donazione a favore delle popolazioni indigenti africane. Con questo sistema l’organizzazione era in grado di spedire, via mare, verso il continente africano circa 50 container al mese, andando ad alimentare ulteriormente il traffico illecito di rifiuti pericolosi, il cui business vede interessati anche trafficanti di origini africane che dall’Italia, con società regolarmente costituite, reperiscono rifiuti speciali in maniera capillare. Una sola delle Onlus individuate risulta aver effettuato oltre 1.000 spedizioni nel periodo dal 2010 al 2013. Le accuse per le persone coinvolte, a vario titolo, sono associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti speciali e gestione di discariche abusive di rifiuti speciali e pericolosi.