Il tour dei Depeche Mode ha fatto tappa anche nel nostro Paese riscuotendo, come di consueto, enorme successo.
Eppure dopo averli visti (per l’ennesima volta) è impossibile non farsi qualche domanda. Magari sulla scaletta! O sugli arrangiamenti di alcuni pezzi e, più in generale, sull’esistenza del gruppo.
Rallentiamo la corsa e proviamo innanzitutto a comprendere le scelte di una band di provata esperienza quale, può essere quella di Gore e soci.
“I tre” fanno tour dal 1981, anno di esordio tanto per intenderci. Arrivare al 2014 integri e ancora smaniosi di proporsi al pubblico, in effetti, non è così scontato, e poi la parola “integrità” va opportunamente contestualizzata; se applicata ai dischi, trova ragione d’essere (fate attenzione, non stiamo parlando di qualità) se applicata ai personaggi… be’, in tal caso si spalanchino un discreto numero di finestre temporali e (quasi) tutte con vista adiacente il passato di Dave Gahan, il leader.
Lo sanno anche i muri che il rocker “si è fatto di ogni” e quindi ritrovarlo sul palco così in forma sorprende piacevolmente, anzi, se consideriamo anche il tentato suicidio nel ’96, possiamo parlare tranquillamente di miracolo. Ok, non è la prima e nemmeno l’ultima rockstar a godere degli effetti esclusivi associati a certe sostanze, si pensi ai soliti nomi, Richards, Jagger, Bowie, Pop, tutti ampiamente strafatti in passato e attualmente rigenerati. Roba da matti! Per noi mortali anche bere tre birre può fare la differenza, soprattutto sui buchi della cintura, mannaggia!
Dave Gahan – tornando ai nostri – pare essersi ricostruito la propria verginità mediante una dieta rigorosamente vegana; visto sul palco ha ragione lui, mostra, in effetti, un fisico da ventenne con tanto di tartaruga accennata e braccia toniche al punto giusto. Che sia il caso di derubricare nuovamente sul vocabolario le voci annesse ad alcol e droghe? Oppure bisognerebbe aggiungere una postilla all’interpretazione data alla dieta vegana secondo cui non sarebbe pienamente equilibrata? Tutto può essere, ci piace pensare comunque al leader dei Depeche come alla rockstar maledettamente ripulita grazie a relative disintossicazioni/liposuzioni e non immaginarla mangiare riso bianco e tempeh per mantenere saldi gli addominali (e il cervello), mica stiamo parlando di uno Yogi indiano.
Ma torniamo al concerto e proviamo a metterci nella testa di chi potrebbe averli visti a questo giro per la prima volta. Si proverà sicuramente una certa soddisfazione: Gahan, come detto, in voce e in super forma, Martin magrissimo e virtuoso alla chitarra; a fuoco pure il resto della band e le canzoni da cantare sono sapientemente distribuite. Per non parlare del palco: sontuoso, cangiante, marcatamente a corredo di video esclusivi quanto totalizzanti. Sicuramente i fans avranno trovato nello show ciò che speravano, inutile raccontarsela.
Ora, si provi invece ad immaginare chi invece i Depeche Mode li segue da trent’anni e di tour ne ha visti se non tutti un più che discreto numero. Gente che con i tre di Basildon è cresciuta e che magari da almeno tre lustri spera di sentirli cantare una scaletta adeguata. L’altra sera, sarebbe bastato mantenere gli arrangiamenti originali di certi pezzi, toccare ad esempio Black Celebration è sacrilego (lenta e senza nerbo)! Così come “spogliare” del suo naturale incedere In Your Room (Gahan insopportabilmente svogliato). E poi non sarebbe ora di riporre nel cassetto certe hit?
Basta con Personal Jesus (per altro in versione eccessivamente “blueseggiante”)! Basta con Enjoy the Silence (Gahan la deve smettere di far cantare il pubblico), stop anche a Just Can’t Get Enough (pare esser diventato un brano per deficienti). Si apra invece agli autentici capolavori lasciati colpevolmente chiusi nei cassetti da tempo immemore. Qualche titolo? Photographic, Get the Balance Right, Blasphemous Rumours. La lista è lunga.
Nel 2014 un biglietto dei Depeche Mode costa sessanta euro, ci si aggiunga autostrada, benzina, panino (e birre); si scoprirà che ad essere sforati sono ampiamente i cento. Ebbene la cifra non è adeguata a quanto visto l’altra sera. Uno show dovrebbe accontentare sia il pubblico esigente che la massa urticante, diversamente a goderne in futuro saranno esclusivamente i neofiti poiché gli altri difficilmente torneranno a rivederli.
Ultima postilla sulla regia di Anton Corbijn. Già la scaletta avrebbe meritato miglior sorte, se poi a questa ci si aggiungono immagini fuori contesto, il conto è fatto. Si faccia riferimento alla sequela di cani a sfondo di non so quale canzone, oppure alle forme umane colorate in movimento, le quali, più che ricondurre al mondo dei DM, sembrano sequenze dedicate all’universo del fitness. Vien da pensare che il noto fotografo/regista non abbia pienamente a fuoco la poetica del gruppo in questione. Qualcuno dovrebbe consigliargli di tornare magari ad occuparsi dei Joy Division (clamoroso il suo film), visto e considerato che anche le sequenze legate al tour precedente lasciavano alquanto a desiderare.
Anche stavolta è tutto.
9 canzoni 9 “che non hanno fatto”
Lato A
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