Leggo che il nuovo Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, a margine della sua cerimonia di insediamento, ha dichiarato che il nostro sistema agroalimentare ha bisogno di fare un salto di qualità.
Non potrei concordare di più. Al momento non sono però certa che il salto di cui parla il neoministro sia lo stesso che intendo io.

Infatti, l’unico salto di qualità auspicabile per il nostro comparto agroalimentare è quello verso politiche alimentari sostenibili, che nulla hanno a che vedere con quelle finora portate avanti in Italia.

Ma cosa si intende con questa espressione? Si intendono politiche responsabili che tutelino la nostra salute, l’ambiente e il benessere animale. Eh sì, perché la nostra alimentazione ha un pesante impatto sulla salute (nostra come singoli e anche pubblica) e anche sull’ambiente, nonché naturalmente su coloro che sono coinvolti all’origine della filiera: gli animali allevati per produrre cibo.

Purtroppo, in Italia manca a livello di grande pubblico una discussione su questi temi, presente invece in paesi come la Germania, la Gran Bretagna, e, in maniera crescente, persino in un paese conservatore nell’agroalimentare come la Francia.

Il che ci deve fare riflettere. Si giunge al paradosso che nel nostro paese persino il mondo ecologista tende a sottovalutare o persino ignorare il peso della nutrizione sul futuro del pianeta e della popolazione umana. E’ un circolo vizioso: in assenza di una discussione reale e costruttiva, si lascia spazio ad una proposta “animalista” radicale che propone come soluzione al problema l’adozione di una dieta vegana, ovvero completamente priva di prodotti di origine animale- ancora una utopia al momento, veramente lontana agli occhi dei più. Dunque messa completamente a margine.

Invece, restando in uno scenario di fattibilità, quali sono i punti essenziali di una politica alimentare sostenibile e cosa dovrebbero fare i governi, incluso il nostro?

In primo luogo bisognerebbe ridurre l’alimentazione animale a base di cereali e favorire il pascolo e l’allevamento all’aperto. La conversione dei cereali (dati come mangime agli animali) in carne, latte, uova da essi derivanti è inefficiente. Infatti, per ogni 100 calorie di cereali commestibili, come il mais, dati al bestiame, solo 30 calorie ritornano sottoforma di carne e latte. In questa trasformazione compiuta dagli animali, perdiamo il 70% di calorie. Quindi si incorre in una perdita di energia e in un impatto negativo sull’ambiente, per non dire che questi stessi cereali potrebbero nutrire le popolazioni che soffrono la fame.

Essenziale, poi, rinforzare la legislazione e sì, anche in questo campo, applicare quella esistente! In Italia ci abbiamo messo due anni a conformarci alla direttiva europea che proibiva le gabbie per le galline ovaiole, per poco ci prendevamo una procedura di infrazione dalla Commissione Europea.

In terzo luogo sarebbe fondamentale mettere fine all’uso sistematico di antibiotici a titolo preventivo: nelle condizioni estreme come quelle in cui vengono allevati ora (con densità altissime in spazi chiusi), gli animali vengono trattati con antibiotici a titolo preventivo per impedire che si ammalino. Bisogna migliorare le condizioni di allevamento e renderle maggiormente rispettose del benessere degli animali per far sì che quest’uso di antibiotici-i cui residui inevitabilmente restano negli alimenti- non sia più necessario.

Una maggiore trasparenza verso i consumatori è poi un passo imprescindibile: come già avviene per le uova, è auspicabile l’introduzione dell’etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione di carne e prodotti lattiero-caseari. Diamo ai consumatori l’opportunità di scegliere quale prodotto acquistare, informandoli anche sul sistema in cui è stato allevato l’animale. Intensivo? Estensivo? All’aperto? Perché non viene introdotta questa possibilità? Altro ingrediente: adottare politiche migliori negli acquisti pubblici. Gli enti pubblici dovrebbero dare il buon esempio e utilizzare solo carne, latte e uova che siano stati prodotti in allevamenti sostenibili e rispettosi del benessere animale. Tanto più che in moltissimi casi i fruitori delle mense pubbliche sono bambini.

E, per concludere, si dovrebbero prevedere sussidi e allo stesso tempo diminuire le tasse per gli allevatori orientati verso l’allevamento estensivo e possibilmente con l’uso di pascolo.

Invece di continuare a sostenere la zootecnia intensiva (anche quando non rispetta i requisiti di legge, vedi il caso dei suini) il governo dovrebbe adottare politiche fiscali a supporto di una produzione sostenibile di cibo.

Quanto di questo è nel salto di qualità di cui parla il Ministro Martina? Speriamo tutto, ma verosimilmente ci sarà molto poco o quasi nulla. Tuttavia, chi scrive non farebbe il lavoro che fa se non credesse che l’informazione, il dibattito e la mobilitazione dell’opinione pubblica possano cambiare le cose. Parliamone sempre di più dunque e vedremo che queste tematiche incominceranno ad avere un ruolo nella agenda del governo anche nel nostro paese.

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