Resta alta la dipendenza da fonti fossili. Tra gli imputati numero uno, secondo l'associazione, è il gruppo Enel, che in Italia basa quasi il 50% della sua elettricità sul carbone
Secondo uno studio presentato a Bruxelles da Greenpeace International, le più grandi compagnie energetiche europee, che da sole generano il 58 per cento dell’elettricità in Europa, si avvalgono delle fonti rinnovabili solo per il 4 per cento (escludendo l’idroelettrico). Per questo, secondo l’associazione, sarebbero addirittura in grave difficoltà a causa della loro incapacità di rinunciare alle fonti fossili ed entrare nel mercato del greening. Tra gli imputati numero uno, il gruppo Enel, che, secondo Greenpeace, in Italia basa quasi il 50 per cento della sua elettricità sul carbone. Secondo l’associazione, il quadro generale è fatto di colossi dell’energia schiavi di investimenti passati sbagliati e quindi “costretti” a fare lobby a livello nazionale ed europeo affinché gli standard ambientali non diventino troppo alti.
Notevole la situazione dell’italiana Enel. Secondo il report “Locked in the past” di Greenpeace, nonostante il gruppo ricavi annualmente 4-5 miliardi di euro dalle fonti rinnovabili (come la spagnola Iberdrola e la tedesca E.ON), gli investimenti fatti nel passato nelle fonti fossili, e in particolar modo nel carbone, costituirebbero un ostacolo concreto a riconvertirsi alle rinnovabili. Questo nonostante proprio Enel Greenpowerappaia oggi come la società più sana e competitiva del gruppo Enel. Nel dettaglio, si legge nel report, Enel fornisce il 5,9 per cento dell’intera energia prodotta in Europa ma le percentuali delle rinnovabili restano alquanto marginali: 3,6 per cento di eolico, 3,1 per cento di altre rinnovabili (escluso l’idroelettrico) per un totale di 6,7 per cento.
Ecco allora il gruppo italiano avventurarsi in battaglie come la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle a Rovigo. Si tratta del progetto da 2,7 miliardi di euro bocciato dalla commissione di Valutazione Impatto Ambientale del ministero dell’Ambiente lo scorso 15 gennaio per “gravi carenze e contraddittorietà”.
Quello che è certo è che Enel si trova in buona compagnia. Greenpeace ha stimato in 500 miliardi di euro le perdite in cinque anni dei colossi europei dell’energia appesantiti dagli eccessivi investimenti degli anni passati in impianti termoelettrici a gas e carbone. “Le grandi utilities europee dell’energia sono aziende marcatamente fossili, legate al consumo di combustibili dannosi per il clima, l’ambiente, la salute e sempre meno competitivi sul mercato. Hanno fatto, nel recente passato, enormi investimenti sbagliati e ora che le rinnovabili sottraggono loro importanti quote di guadagno, fanno di tutto per soffocarne la crescita e battono cassa per ottenere compensazioni pubbliche ai loro errori industriali”, afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.
Questa situazione si traduce a Bruxelles in una massiccia lobby a favore delle fonti fossili e di standard ambientali “meno ambiziosi”. La riprova la si è avuta in occasione dell’approvazione del nuovo Pacchetto Ue Clima 2030. Le associazioni ambientaliste internazionali hanno criticato duramente la proposta della Commissione europea che prevedeva, secondo loro, obiettivi ambientali diluiti, ovvero 40 per cento di taglio di CO2 obbligatorio solo a livello europeo e non in tutti gli Stati, un obiettivo vincolante sempre a livello Ue per portare la quota delle energie rinnovabili almeno al 27% e la promessa di parlare di efficienza energetica solo il prossimo giugno. Lo stesso Parlamento europeo si è schierato con gli ambientalisti, chiedendo il 5 febbraio scorso il 40 per cento in meno di CO2, un 30 per cento in più di energie rinnovabili e un 40 per cento in più di efficienza energetica entro il 2030 e rispetto ai valori del 1990.
Ecco allora l’invito di Greenpeace rivolto ai governi nazionali, spesso azionisti di maggioranza in queste aziende, di “guidarle verso nuovi modelli di sviluppo, più sostenibili tanto economicamente quanto dal punto di vista dell’ambiente”. Un invito echeggiato dalle principali associazioni ambientaliste italiane che, insieme al coordinamento di associazioni e imprenditori dell’efficienza energetica e delle rinnovabili, hanno scritto al nuovo premier italiano Matteo Renzi chiedendogli di “rappresentare l’Italia nell’Ue con un impegno forte sugli obiettivi 2030 in materia di politiche per il clima”.
Il prossimo appuntamento europeo per Renzi e il ministro all’Ambiente Gianluca Galletti sarà il summit del 20-21 marzo con tutti i capi di Stato e di Governo che si riunirà per decidere, tra le varie cose, anche sui target europei al 2030 in materia di clima ed energia.