Molti i premi in carriera per uno dei padri del cinema. "Più che un regista - disse di sé - mi considero un bricoleur, nei miei film faccio esperimenti, come in un laboratorio, senza sapere esattamente che cosa ne verrà fuori. Agli attori chiedo di portare se stessi, quando recitano entrano in una specie di trance e non vanno disturbati con le inutili indicazioni del regista''
Il regista francese Alain Resnais è morto ieri sera a Parigi all’età di 92 anni. Ad annunciarlo, secondo quanto riferisce la stampa francese, è stato il suo produttore. Il regista di Hiroshima mon amour e de L’anno scorso a Marienbad era nato il 3 giugno 1922 a Vannes. Ha girato il suo primo cortometraggio ad appena 14 anni L’aventure de Guy. L’ultimo riconoscimento al festival di Berlino per Aimer, boire et chanter ”film che apre nuove prospettive”. Nella sua lunghissima carriera il regista ha vinto innumerevoli premi tra cui: il BAFTA, un Leone d’Argento ed un Leone d’Oro, due Orsi d’Argento, tre premi César, un David di Donatello. Il Festival di Cannes 2009 lo acclamò con un premio speciale alla carriera
Resnais è da collocare nel ristretto club dei veterani che hanno fatto la storia del cinema. Dritto come un fuso, l’argentea capigliatura leonina, gli occhiali scuri e i modi di un ironico gentiluomo d’altri tempi, è sempre stato un predestinato alla Cultura. I libri, la musica e l’arte sono stati suoi compagni si da giovanissimo per occupare i lunghi pomeriggi in campagna passati in casa per colpa di una fastidiosa asma bronchiale. Il debutto sul set a meno di 20 anni come comparsa nei Visiteurs du soir di Marcel Carne’. A 24 già dirigeva Gerard Philipe in Ouvert pour cause d’inventaire.
Poteva diventare un autore di spicco e invece si tuffa a capofitto nell’arte del montaggio, nella teoria del linguaggio cinematografico e del documentario artistico, fino a vincere l’Oscar con l’emozionante Van Gogh (1948). Ma è alla metà degli anni ’50, prima in coppia con lo sperimentale Chris Marker (Le statues meurent aussi) e poi da solo Notte e nebbia, che Resnais conquista sul campo i galloni del maestro: quando firma lo sconvolgente Notte e nebbia, film-documento su Auschwitz in cui pero’ è fortissima la personalità artistica dell’occhio che vede l’orrore, ha esattamente 30 anni.
Dall’immaginario letterario l’autore attinge per il suo debutto nel lungometraggio: prima Marguerite Duras con Hiroshima, mon amour (1959) e poi Alain-Robbe Grillet con cui scrive L’anno scorso a Marienbad, interpretato da Giorgio Albertazzi e Delphine Seyrig, che gli vale il Leone d’oro a Venezia nel 1961.
Tra i due partiti dell’intellighentia parigina – quelli della Rive Gauche e quelli della Rive Droite – il bretone di Vannes non si schiera, anche se tutta la Nouvelle Vague e la redazione dei Cahiers du Cinema lo venerano come un indiscusso punto di riferimento. Condivide con i giovani ribelli come Godard e Truffaut la passione sperimentale per la destrutturazione del linguaggio cinematografico, regala ai militanti impegnati politicamente storie forti sull’Algeria (Muriel, 1963), sull’antifranchismo (La guerra è finita del ’66 scritto con Jorge Semprun), sull’Indocina (il film collettivo Lontano dal Vietnam, 1967).
Sposta però presto i suoi interessi sulle dinamiche interiori e la psicologia della coppia con uno stile anti-naturalistico che sarà la sua cifra espressiva: purtroppo ‘Je t’aime, Je t’aime cozza contro il ribellismo politico che attraversa il 1968 e resta ignorato da tutti, spingendo l’autore a lasciare la Francia per New York.
Torna sulla scena sei anni dopo, nel 1974 con Stavisky, personalissima biografia di un celebre truffatore d’inizio secolo interpretato da Jean-Paul Belmondo. Potrebbe sembrare una dichiarazione di resa, ma cela invece le radici della nuova vita di Resnais. Da quel momento in poi infatti il suo lavoro è all’insegna di un eclettismo spiazzante che ogni volta coniuga intelligenza, originalità, eleganza, divertimento, sperimentazione. C’è la memoria in Providence (il congedo di Dirk Bogarde dallo schermo), la riflessione su scienza e psicanalisi (Mon oncle d’Amerique) firmato a quattro mani con Henri Laborit, l’attesa della morte (Melo) e il valzer dei sentimenti (Smoking/No Smoking). Ogni volta la sfida è sempre più spericolata fin quando con il musical Parole, parole, parole (1997), in cui i personaggi si esprimono con le strofe delle canzonette popolari, seduce in un colpo solo la critica e il grande pubblico.
I film successivi seguono la stessa traccia, fino a Vous n’avez encore rien vu in cui si rende omaggio a un’altra grande passione dell’autore, il teatro, con un gruppo di autori e di amici che si confrontano con il testo di Euridice, ispirato alla pièce di Jean Anouilh. ”Più che un regista – ha detto di sé Alain Resnais – mi considero un bricoleur, nei miei film faccio esperimenti, come in un laboratorio, senza sapere esattamente che cosa ne verrà fuori. Agli attori chiedo di portare sé stessi, quando recitano entrano in una specie di trance e non vanno disturbati con le inutili indicazioni del regista”. E infatti la chiave ideale di lettura del suo cinema è la sorpresa, il gioco come sfida dell’intelligenza, la sorpresa infinita e vitale della creazione.
“Saluto la memoria di Alain Resnais, uno dei giganti del cinema francese” il saluto su Twiiter del premier francese, Jean-Marc Ayrault.