Aalborg, Danimarca. Parla Nicola Morelli, 51 anni: “Qui pago le tasse e sono contento di pagarle”. Perché? “Lo Stato in cambio mi garantisce servizi efficienti. E l’evasione fiscale è quasi nulla, c’è pochissimo nero, grazie a un sistema trasparente di controlli a catena”. Nicola, che insegna Design all’Università, lo spiega subito: “Lo stipendio finisce su un conto a cui accede anche l’Agenzia delle entrate. In più, se chiamo l’idraulico a casa mia, lui deve dichiarare per iscritto di aver eseguito un lavoro a regola d’arte, io invece devo allegare la sua dichiarazione ai documenti della casa, richiesti per eventuali controlli o in caso di vendita o affitto dell’immobile”. Non perde un attimo e fa l’elenco dei vantaggi: “Ho due figli, di 10 e 13 anni, ogni tre mesi lo Stato mi dà 1100 euro per loro a prescindere dal reddito. A scuola i libri sono gratuiti e il dentista non si paga fino alla maggiore età. Pure l’Università è gratis. Poi ci sono molti luoghi ricreativi per gli anziani, mentre chi è disoccupato riceve un sussidio di circa mille euro al mese se dimostra che sta cercando lavoro o seguendo un corso di formazione”.
In Danimarca il tasso di disoccupazione è del 6,9 per cento. In Italia del 12,7. Nicola, origini baresi, lascia l’Italia nel 1996. La storia è questa. Il crollo dei posti di lavoro funziona come il gioco delle sedie: i concorrenti sono di più rispetto ai posti a sedere, perde chi rimane in piedi, vince chi per primo scansa il vicino. A Nicola tocca restare in piedi: una laurea in architettura a Napoli, un dottorato in design a Milano e un tentativo fallito di entrare nel mondo accademico. “Se non sai sgomitare, l’università non fa per te”: si è sentito dire così dal suo professore. La selezione darwiniana, per quello che ne sa lui, non avviene per curriculum e forza di volontà. In poche parole: sei escluso se pensi che la vita non possa ridursi a una lotta sul ring. Oppure ti accontenti e fai quello che non ti piace fare.
Nicola però non vuole buttare il suo sogno all’aria e vola nell’altro emisfero, a Melbourne, Australia. Ci rimane fino al 2002. Ottiene una borsa di studio di due anni per una ricerca in design e sostenibilità ambientale. Finito un capitolo, ne apre al volo un altro: “Ho proposto alle aziende progetti per il riciclo dei materiali, mi hanno dato fiducia e mi hanno finanziato. L’Università di Melbourne invece mi ha sponsorizzato un’altra idea: un centro temporaneo di lavoro, dove gli uffici si danno in affitto anche solo per due ore”. Scaduto il tempo crede per un attimo di ritornare vittorioso in patria. “Mi sono visto offrire un lavoro part-time per 900 euro in un’università italiana e uno full-time, a tempo indeterminato, per tre mila euro ad Aalborg, dove avrei potuto occuparmi di design di servizi, cioè il settore che mi interessa di più”. Quindi, non ci pensa su due volte e imbocca la seconda via. “Fino alla pensione”, giura.
Ci vuole più coraggio a restare in Italia o trasferirsi all’estero? Se per coraggio si intende la libertà di fare ciò per cui si è studiato con tanti sacrifici, Nicola non ha dubbi: “Oggi non farei mai cambio”. Un motivo è quello sopra. Ma ce ne sono altri tre. Primo: “Qui posso lavorare continuando a fare ricerca, senza patire la fame. Guadagno 3.800 euro al mese netti (lordi sono sei mila), me ne danno 1200 all’anno per pagarmi le trasferte per conferenze, libri, attrezzatura, anche l’iPad. Le ore di lezione sono 30 a semestre, conteggiate 500 perché includono preparazione del corso, supervisione dei lavori, esami”. Seconda ragione: la sinergia costante con le istituzioni, in primis Comune e Regione. “Qui non ti chiudono la porta in faccia, qui ti ascoltano – Nicola lo sottolinea più volte -. Vado direttamente dall’assessore e gli presento il progetto. La prima volta me lo bocciò. Mi chiese: ‘Mi dia una buona ragione perché io debba spendere i soldi dei contribuenti per il suo lavoro’. Non seppi convincerlo. Ritornai con le idee più chiare e andò in porto”.
Nicola si occupa in particolare della creazione di servizi per anziani e persone con disabilità. “Life 2.0 è il più recente: una piattaforma online riservata agli over 60 per condividere tempo libero (passeggiata, cinema, musei) e capacità (fare la spesa, le pulizie, cucinare), e promuovere eventi o servizi, come il fisioterapista”. Altra invenzione: un’app che permette alle organizzazioni di volontariato di mettersi in contatto con il paziente disabile. Terzo motivo: muoversi in bicicletta a tutte le ore, anche per raggiungere l’aeroporto (lui ci impiega 25 minuti cronometrati). “Non ho la macchina. Pedalo e basta. Anche i miei figli si spostano in bici. Per viaggi più lunghi uso il car sharing”. Quello che non sopporta dei danesi è l’eccessiva puntualità (“Se ritardi di cinque minuti pensano già che non verrai”), la formalità a tavola e una certa freddezza nei rapporti personali. “Per incontrare un amico non basta presentarsi sotto casa sua e citofonare: devi programmare la visita almeno due settimane prima. E poi fuori, per le strade, non c’è quasi mai nessuno e i negozi chiudono alle 17”.