Una missione spaziale viene interrotta da un’onda di detriti ad alta velocità che, distrutto uno shuttle della Nasa, lascia solo due superstiti, costretti a tentare il rientro sulla Terra con pochissimi mezzi. Inizia così Gravity, film che ha conquistato pubblico e critica, ricevendo 10 nomination agli Oscar e dato tra i favoriti alla statuetta.
Meno entusiasti sono stati alcuni scienziati, da Neil deGrasse Tyson, direttore dell’Hayden Planetarium di New York, che ha espresso le sue perplessità via Twitter, all’astrofisico Amedeo Balbi, che ne ha scritto su ‘Il post’, fino al presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, Giovanni Bignami, secondo il quale, per vedere il film di Alfonso Cuaròn, bisogna “far finta di crederci”.
“È una questione di approccio: credo non si possa chiedere a un’opera cinematografica un’attenzione spasmodica alla correttezza scientifica”, afferma Valerio Rossi Albertini, dell’Istituto di struttura della materia (Ism) del Cnr in un articolo pubblicato sul nuovo numero on line dell’Almanacco della Scienza Cnr. “Al di là dei dettagli, questo è il primo film che io abbia visto in cui è rappresentato in maniera realistica il senso di sospensione, di sgomento e di stupore di chi si trova a orbitare attorno alla Terra”. Inizialmente al lavoro sul Telescopio Hubble, a 559 km dalla Terra, i protagonisti, interpretati da Sandra Bullock e George Clooney, riescono a raggiungere la Stazione spaziale internazionale, che viaggia tra 330 e 410 km di quota. “Affinché un corpo resti in orbita deve esserci compensazione tra la forza di gravità esercitata dalla Terra, che lo farebbe precipitare, e la forza di inerzia, che al contrario tenderebbe a farlo allontanare. Questo equilibrio è molto delicato”, spiega il ricercatore dell’Ism-Cnr, “e il cambiamento di quota necessario al passaggio da un’orbita all’altra non è verosimile che sia fatto con la sola spinta di un jet pack, come diversi commentatori hanno giustamente sottolineato”.
Il film va inserito insomma nel filone fantascientifico-catastrofico, in cui si parte da un’ipotesi plausibile, che si sviluppa poi in modo immaginoso. “Ancora meno plausibile è il rientro, con tanto di ammaraggio finale, della protagonista, dopo una cavalcata nell’atmosfera che avrebbe dovuto arrostirla….”, prosegue Rossi Albertini. “Tuttavia, la pellicola ha anche il merito di denunciare una drammatica realtà quasi sconosciuta al pubblico: attorno al nostro pianeta orbitano numerosissimi oggetti di origine terrestre, che, prima o poi, tenderanno a ricadere al suolo. Ma anche prima di quel momento c’è la possibilità che detriti spaziali incrocino l’orbita di un satellite o di una stazione, con esiti anche devastanti, come mostrato da Cuaròn. In quelle condizioni, anche degli innocui granelli di polvere sarebbero in grado di danneggiare seriamente una navicella spaziale”. Tra le nomination di Gravity, anche quella per i migliori effetti speciali. Per ricostruire gli oggetti spaziali e gli scenari, i tecnici si sono ispirati alle fotografie ad alta risoluzione fornite dalla Nasa. “La spettacolarità del film è dovuta soprattutto alle suggestive immagini dello spazio dalla prospettiva degli astronauti”, conclude Rossi Albertini.
“La Terra, relativamente vicina, occupa gran parte dell’orizzonte, dispiegando tutta la sua insospettabile bellezza, fatta di grandi macchie scure nel campo azzurro delle superfici oceaniche. Altrove, il cielo, in assenza di atmosfera che riverberi la luce del sole, appare di velluto nero profondo trapunto di stelle. In nome di tanta bellezza, mi sento di chiedere clemenza a tutti gli scienziati per le concessioni del regista allo spettacolo e alle esigenze di Hollywood’’.