Renzi non ha letto l’annuale rapporto di Legambiente sull’edilizia scolastica, il XIV, pubblicato all’inizio dell’anno, che testa la qualità delle strutture e dei servizi della scuola in 94 capoluoghi di provincia. Non si spiega altrimenti la sua ingenuità.
In Italia oltre il 60% degli edifici scolastici sono stati costruiti prima del 1974, data dell’entrata in vigore della normativa antisismica. Il 37,6% delle scuole necessita di interventi di manutenzione urgente, il 40% sono prive del certificato di agibilità, il 38,4% si trova in aree a rischio sismico e il 60% non ha il certificato di prevenzione incendi. Esperienze riuscite di edilizia sicura e sostenibile: Trento, seguita da Prato e Piacenza. Lecce, ventisettesima, è la prima città del Sud in questa graduatoria. Il dossier, ricco e dettagliatissimo, segnala anche la disparità degli investimenti per la manutenzione straordinaria e ordinaria. Nel 2012 l’investimento medio per la manutenzione straordinaria ad edificio scolastico è stato di 30.345 euro contro i 43.382 del 2011. Nel nord la media degli investimenti per la manutenzione straordinaria è quasi 3 volte quella del sud, nonostante la maggiore necessità di interventi nel meridione legata anche alla fragilità del territorio, al rischio idrogeologico, sismico e vulcanico.
Non esiste un monitoraggio complessivo e sistematico del patrimonio edilizio: dal 1996 si attende un’anagrafe dell’edilizia scolastica; a tale carenza ha cercato di dare una risposta Carrozza, che aveva iniziato la riforma dell’anagrafe creando il Sistema nazionale delle anagrafi dell’edilizia scolastica (Snaes), costruito sulla base delle anagrafi regionali (solo 11 operative). Il rapporto sottolinea la necessità di una programmazione degli investimenti, rivelando come quelli a pioggia e non programmati degli ultimi lustri “non abbiano intaccato una situazione permanente di emergenza legata alla messa a norma e alla manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio edilizio scolastico” (Vanessa Pelucchi, Legambiente).
Cosa fa invece il nuovo presidente del Consiglio? Scrive agli 8000 sindaci. L’ esordio, “caro collega”, continua a dimostrare una curiosa confusione tra ruoli, da parte di chi è chiamato ad occuparsi, ad esempio, della crisi ucraina. Li invita a segnalare entro il 15 marzo un edificio del proprio Comune su cui intervenire. Con l’impegno a snellire le procedure burocratiche e a intervenire sul patto di stabilità interno per sbloccare le risorse: come? Quando? A svantaggio di cosa? E soprattutto: come hanno fatto quegli imbambolati dei suoi predecessori a non pensarci prima, se la cosa è tanto semplice?
Ecco convergere la politica del fare e la politica degli annunci: non sono in contraddizione, nel mondo dell’effimero, della rapidità che condiziona la nostra percezione e il nostro senso critico, dello smart. In primo luogo, Renzi ha sbandierato ai media l’attivazione di una richiesta di dati di cui la Presidenza del Consiglio è già in possesso; non una parola, poi, sui concreti fondi a disposizione. Nessuna politica ponderata, studiata, che poggi su competenze serie nello specifico, complesso campo e su comportamenti integerrimi. L’egemonia del cinguettio, della mail informale (Potremo accedere alle denunce? Sarà garantita la trasparenza rispetto a quanto verrà concretamente fatto?), la rapidità che fa notizia uccidono riflessione, approfondimento. Su tutto, la fa da padrone un impressionante personalismo. È lecito dubitare che queste pratiche demagogiche possano fornire risposte convincenti al quadro tracciato da Legambiente. E che la ribalta estemporanea restituisca al problema del degrado dell’edilizia scolastica la centralità che merita.
Il secondo fatto: il rottamatore non nasconde la propria venerazione per Blair. Che nel 2001 illuse tutti con una indimenticabile dichiarazione (“Ask me my three main priorities for government and I tell you education, education, and education”). Le cose non andarono proprio inquella direzione.
Il nostro illustre fiorentino non è da meno: “Stiamo affrontando il momento più duro della crisi economica. Il più difficile dal punto di vista occupazionale. Ma dalla crisi non usciremo semplicemente con una ricetta economica. No, si esce con una scommessa sul valore più grande che un Paese può incentivare: educazione, educazione, educazione”. Per dimostrare le sue reali intenzioni e vincere la scommessa, per il momento ha scelto una puntuale esecutrice del pensiero mainstream sulla scuola, Stefania Giannini; che in una settimana ha già dettato alla stampa il suo formulario – laconico e incisivo, nonché innegoziabile – per finire di distruggere definitivamente la scuola pubblica (ma, del resto, non fa mistero, come il giovane capo, della sua simpatia per la paritaria, alla quale ha a più riprese, garantito sostegno. O meglio, ahimé, alla “paritetica” (sic!), come lei stessa l’ha chiamata, dimostrando tutta la sua competenza sull’argomento).