Attività bloccate e uffici di Hamas sigillati temporaneamente in tutto l’Egitto. Così un tribunale del Cairo ha deciso di rendere illegale l’organizzazione palestinese dopo che alcuni dei suoi membri sono stati coinvolti nei processi relativi ad atti di spionaggio e alla fuga del deposto presidente Morsi dal carcere di Wadi Natrun durante la rivoluzione del 2011. La sentenza di oggi sembra essere l’ultimo colpo di coda del governo militare contro i movimenti islamisti. Hamas è, infatti, un affiliato politico dei Fratelli Musulmani e ora nella campagna ideologica contro il terrorismo è considerata complice degli attentati che hanno colpito il paese negli ultimi sei mesi. Infatti, i rapporti del Cairo con l’organizzazione palestinese si sono incrinati subito dopo la deposizione di Morsi lo scorso luglio e l’inizio della repressione contro il movimento islamista in nome della lotta al terrorismo.
Una tattica ambigua che David Barnett, esperto di Jihad nella penisola del Sinai, ha ben analizzato in un articolo apparso la scorsa settimana su Foreign Policy. “Dichiarare i Fratelli Musulmani un’organizzazione terroristica – dice Barnett – è una giustificazione per la repressione contro i movimenti islamisti e per dare al capo delle forze armate, El Sisi, la guida del Paese”. Negli ultimi sei mesi l’esercito egiziano ha fatto in modo di rafforzare il suo consenso tramite la lotta al terrorismo, strategia che ha fatto combaciare il supporto popolare per i militari con la fobia dei movimenti islamisti. Poche settimane dopo la deposizione di Mohammed Morsi, i militari chiamarono in piazza gli egiziani a manifestare contro il terrorismo dei Fratelli Musulmani a piazza Tahrir. Quella manifestazione, che si trasformò in una celebrazione per El Sisi, può essere considerata l’inizio di questa campagna del consenso. Anche la strage compiuta dai militari al sit in pro Morsi di Rabaa el Adaweya del 14 agosto venne giustificata con la lotta al terrorismo facendo leva anche sulla politica soft verso i jihadisti adottata da Morsi durante il suo anno di presidenza.
Così, dalla scorsa estate a oggi, i Fratelli Musulmani sono stati indicati dal governo come responsabili di ogni attentato avvenuto nel paese sino a essere dichiarati organizzazione terroristica lo scorso 25 dicembre, dopo la bomba esplosa al quartier generale della polizia nella città di Mansoura. Intanto, Ansar Bayt al Maqdis, gruppo terroristico con base in Sinai, ha iniziato una delle stagioni più attive della sua storia rivendicando la maggioranza degli attentati che ha colpito l’Egitto. Anche se i comunicati di ABM non hanno distolto il governo dalla sua campagna anti-Fratellanza che ha fatto breccia nel cuore di molti egiziani.
Lo scorso 24 gennaio 4 bombe colpirono diverse zone del Cairo, tra cui il quartier generale della polizia, e provocarono sei morti. Diverse persone scesero per le strade della capitale accusando i Fratelli Musulmani dell’attacco nonostante Ansar Bayt al Maqdis avesse già reso nota la sua rivendicazione. La propaganda di governo, inoltre, ha tentato di collegare Ansar ai Fratelli Musulmani. Al Masry al Youm ha pubblicato lo scorso 9 settembre le dichiarazioni di Nabil Naeem, fondatore del gruppo della Jihad islamica, che indicava Khairat el Shater – numero due dei Fratelli, ora in carcere – come fondatore e maggiore finanziatore del gruppo terroristico. Per ora non c’è nessuna prova di un collegamento diretto e i casi di alcuni sostenitori dei Fratelli Musulmani che si sono uniti ad Ansar restano al momento degli episodi isolati. Se il governo egiziano continuerà con questa linea, le conseguenze potrebbero essere disastrose per la sicurezza del paese. A partire, come avverte anche Barnett, proprio dalle persone vicine ideologicamente agli ikwhan che potrebbero scegliere la lotta armata rafforzando le organizzazioni terroristiche al confine tra Egitto e Gaza.