Il giudice per le udienze preliminari di Bologna ha condannato con rito abbreviato a 6 anni e 2 mesi di reclusione l’avvocato di Modena Alessandro Bitonti per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il gup Letizio Magliaro ha così accolto e aumentato la stessa richiesta di condanna fatta una settimana fa dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Enrico Cieri e dal suo collega della procura di Modena, Pasquale Mazzei, che per il civilista avevano chiesto 4 anni. I due magistrati da anni indagano sulle infiltrazioni camorristiche in quella zona dell’Emilia. Imputato in questo processo è infatti anche Sigismondo Di Puorto, latitante sino al 2010 e considerato il numero tre della famiglia dei Casalesi e longa manus del clan in Emilia. Con Bitonti sono stati condannati con rito abbreviato anche Domenico Esposito (5 anni e 8 mesi) e l’albanese 41enne Zelna Bardhok (4 anni e 5 mesi). Rinviato a giudizio Paolo Raviola, 51enne già finito in altre inchieste legate alla camorra.
La vicenda al centro del processo si basa principalmente sul racconto di Alfonso Perrone, detto o’ Pazzo, anche lui legato ai Casalesi, che in questa indagine aveva già patteggiato 2 anni di reclusione e che da tempo ha iniziato a collaborare dal carcere con gli investigatori. La titolare di un centro benessere di Modena ovest (oggi chiuso), nel 2010 si era rivolta all’avvocato civilista Bitonti perché era stata coinvolta in una controversia con un imprenditore edile. In pratica la donna non aveva pagato lavori di ristrutturazione per 230mila euro. Ma secondo l’accusa, Bitonti, invece di assistere legalmente la donna, aveva chiesto l’aiuto di Perrone, che con i suoi complici si era inserito nel contenzioso. L’imprenditrice così aveva pagato 8mila euro (mille euro ogni due settimane) in cambio della ‘protezione’, mentre in cambio il muratore era stato invitato a non importunare più la donna. E, secondo i pm, alle “trattative” con l’artigiano avrebbe partecipato anche Di Puorto. Un sistema tipico ormai anche in Emilia quello dei mediatori, con cui la criminalità si impadronisce della economia sana.
L’indagine sul centro benessere nasce da un’altra operazione che è già andata a sentenza di primo grado nel giugno 2013. In quel caso lo stesso avvocato Bitonti fu condannato a 2 anni e mezzo di reclusione per tentata estorsione dal tribunale di Modena. Ora gli avvocati attendono il processo di appello. La vicenda in quel caso prese avvio quando Bitonti fu schiaffeggiato e minacciato di morte da un gruppo di persone con cui l’avvocato aveva avuto dei problemi per degli assegni riguardanti la compravendita di un’automobile. Alfonso Perrone, noto in tutto il Modenese come uomo di spicco dei Casalesi, si fece avanti con Bitonti per risolvere la questione. Così, nello scantinato di un bar modenese, Perrone fece picchiare dal cugino Pasquale quello che doveva essere il paciere con l’altro gruppo, per fare giustizia.
L’avvocato Bitonti, presente al pestaggio, secondo la sua difesa non poteva sapere che, lasciando intromettere i Perrone, la vicenda sarebbe andata a finire così. In quel processo del giugno 2013 tuttavia cadde per Bitonti l’aggravante del metodo mafioso, che invece in questo secondo filone di indagine è stato applicato dal gup di Bologna. Ed è proprio questa scelta differente tra i due giudici a lasciare perplessi gli avvocati della difesa. “Attendiamo le motivazioni del giudice per poi fare appello”, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it l’avvocato di Bitonti, Luca Brezigar.
Mercoledì 5 marzo inoltre la Corte di Cassazione deciderà in merito all’ordine di cattura emesso dal tribunale del Riesame di Bologna nei confronti di Bitonti, Di Puorto, Esposito, Raviola e Bardhok, impugnato dagli avvocati. Se i giudici dovessero dare ragione alla richiesta dei pm, per Bitonti, ora a piede libero, potrebbero profilarsi subito gli arresti.