Torna il grande cinema italiano. Oppure torna grande il cinema italiano. Che cos’è che fa sì che l’Italia sia il paese che ha conquistato più Oscar, esclusi ovviamente gli americani? C’è in La grande bellezza, come in molti altri film premiati nel passato, da La strada a Otto e mezzo, da Ladri di biciclette a La vita è bella, il senso di un’inquietudine, un’irrequietezza tutta italiana che spinge verso un altrove senza mai definirlo, che coniuga una sorta di malinconica capacità di traguardare il presente con un’aspirazione indefinita. Aspirazione che resta spesso sospesa come una nota musicale che persiste nell’aria: in fondo la grande qualità del cinema di Fellini è proprio quella di disegnare situazioni che restano sospese, che “stanno per…” o che “vorrebbero”, come in Otto e mezzo e non si sciolgono. E di coniugarle con uno sguardo in qualche modo giocoso, magari disperatamente giocoso, percepito all’estero come molto italiano. Per questo Fellini da solo ha vinto cinque Oscar, tra cui uno alla carriera.

E’ singolare che gli ultimi due film italiani ad aver avuto l’Oscar evochino nel titolo la bellezza e poi raccontino invece la mancanza di bellezza che ci circonda, la tragedia da cui si esce immaginariamente con la grande fantasia italiana (La vita è bella), e il disfacimento di una vita fatta di pieni e di vuoti, di silenzi e di eccessi, ma comunque rivolta verso la morte (La grande bellezza). E’ come se l’Italia fosse ontologicamente presa in un ossimoro per il quale la bellezza fa parte “naturalmente” del nostro vivere e “naturalmente” ne è lontana. Di qui un’eterna sospensione, che è la sospensione della vita italiana, quella in cui galleggia questo paese che di europeo ha sempre meno. Il cinema italiano che piace all’estero è proprio quello che racconta questa sospensione senza tempo – sia essa la sospensione esistenziale o la sospensione del racconto, quella dell’essere o quella del vivere – non certo quello che si appiattisce sul quotidiano ancorché pittoresco e variegato (del resto è sulle forme della sospensione che si è costruito il cinema dei grandi autori italiani, da Antonioni a Pasolini, da Ferreri ai Taviani).

La sospensione è anche la cifra stilistica di La grande bellezza, film che non a caso si apre con una citazione di Louis Ferdinand Céline e che per molti versi è céliniano: per il suo essere “dall’altra parte della vita”, come suggerisce la bella didascalia iniziale, e anche per la tessitura lacerata, per quel procedere senza apparente consequenzialità. Nel finale del film lo scrittore semifallito e solo Jep Gambardella, disegnato da Toni Servillo sullo sfondo di una Roma barocca e disfatta, afferma che tutto finisce sempre con la morte. “Prima però c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla”. In fondo la sfida di Sorrentino era questa: raccontare e far vedere ciò che sta sotto il “magnifico” bla bla bla dell’Italia stando sempre a distanza, dai personaggi e dalle loro vicende umane come dalle immagini, raffreddate anche quando traboccano di suoni e di colori. Ed è questo doppio tono del film ad aver probabilmente catturato la platea dell’Oscar.

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