Lamiere accartocciate, muri crollati, vetri infranti e ancora quell’odore di bruciato. Era la sera del 4 marzo 2013 quando alle 21 e 20, le fiamme rasero al suolo il Science center di Città della Scienza a Coroglio a Napoli. Fu un’azione terroristica/camorristica. Chiunque per poter mettere a segno la distruzione totale di capannoni e laboratori inevitabilmente usufruì di appoggi o quanto meno del “sì” dei clan. Questo è un fatto diciamo, una consuetudine criminale partenopea che non ha bisogno del timbro di un tribunale.

Dodicimila metri quadrati distrutti in meno di venti minuti. Una palla di fuoco illuminò tragicamente il cielo plumbeo di Bagnoli. Una città ferita a morte. Lacrime e rabbia. Un popolo per l’ennesima volta umiliato, violentato, scippato da una violenza e una barbarie fino ad ora senza volto. E’ trascorso un anno da quel maledetto rogo, non si sa nulla, non ci sono colpevoli. A Napoli può accadere di non conoscere la verità. Una cosa, succede e basta. Così doveva andare, la frase fatalisticamente appesa.

Le indagini non sono riuscite ancora a fare chiarezza. Ritardi, difficoltà, reticenze. Tante ipotesi, nessuna certezza. La pista interna, forse. Una ritorsione, mah! Le brame di speculatori incalliti in cerca di suoli di pregio. Una vendetta o un avvertimento sfociata in un’azione dimostrativa che doveva avere una portata più limitata. Chissà! Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo (fresco di nomina al Ministero di Giustizia) e dai pm della Dda Ida Teresi e Michele Del Prete, pur avendo delineato scenari, non hanno ancora portato ai responsabili. Il mistero continua.

La creatura nata da un’intuizione dello scienziato Vittorio Silvestrini, presto diventata un modello internazionale di didattica, ricerca, innovazione ed eccellenza a un anno dal rogo, non rinasce. Nell’immediato della distruzione della struttura ci furono tanti discorsi, una grande mobilitazione nazionale e internazionale. ”Città della Scienza rinascerà più bella di prima – assicurò Silvestrini – e nel giro di due, massimo tre anni. Con l’accordo che ci accingiamo a firmare diamo il via ai bandi per la progettazione. Dopo un anno partiranno quelli per gli appalti e nel giro di un ulteriore anno e mezzo dovrebbe essere tutto pronto. Abbiamo sconfitto la lentezza della burocrazia e del sistema, ma ora possiamo guardare al futuro con ottimismo”. C’era troppo ottimismo. Con il trascorrere dei mesi, i proponimenti si sono affievoliti, gli intenti deflagrati, le volontà implose. Lo scheletro bruciato è lì, severo ammonisce. Il panorama è spettrale. Lo sguardo dagli scogli di Coroglio si incupisce. Vedere ridotto così uno dei fiori all’occhiello della città nel mondo fa sentire un vuoto pneumatico nell’anima di chi davvero ama Napoli.

Non si riesce a fare un solo passo in avanti. La ricostruzione del polo scientifico resta l’ennesimo sogno scippato. A volte si ha l’inconsapevole sensazione che san Gennaro ha girato lo sguardo altrove. Non riusciamo a fare nulla. Come se ci fosse una volontà segreta, una coazione all’autodistruzione, all’autolesionismo. Una spinta che risucchia e fa sprofondare tutto nel cuore dell’inferno. Chiacchiere amare per i tanti che sotto sotto tifano contro Napoli e scommettono un giorno si e anche l’altro la sua morte civile. Le grandi città non muoiono. Napoli combatte sempre e comunque.  Ne sa qualcosa Bit, il personaggio simbolo di Città della Scienza, amico di tanti bambini. Con la sua testolina tonda, i capelli appuntiti, il corpo a forma di molla continua a crederci: “Città della scienza rinascerà!”.  

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