Ha scritto Zygmunt Bauman che “l’Europa non è un tesoro che va scoperto ma una statua che deve essere scolpita”. La consapevolezza che gli spunti dei padri fondatori, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Altiero Spinelli siano stati ampiamente disattesi si è tramutata, nell’ultimo triennio, in drammatica contingenza, dal momento che l’infrastruttura continentale, così com’è, non solo non funziona ma poco investe sulla propria futura sopravvivenza. Facile immaginare come, prima diretta conseguenza, sia lo scollamento da parte dell’elettorato che non si riconosce e non crede più nell’idea di Unione. Con il probabilissimo exploit il prossimo maggio di formazioni politiche euroscettiche e contrarie alla moneta unica. Ma dire “no” allo status quo non può essere sufficiente, nel rispetto di idee e spunti: occorre un passo in più. Accendere la luce, anziché maledire il buio.
Quando il premier italiano dice che i “conti vanno messi a posto non per l’Ue ma per i nostri figli”, dimentica forse di aggiungere che senza un serio e disciplinato regime di controlli sui provvedimenti attuati dai ministri dell’economia dei paesi membri, i casi ellenici potranno solo moltiplicarsi. Il default greco è figlio di trent’anni di politiche miopi, economiche e industriali, e della cura totalmente sbagliata che la troika ha scelto di propinare al malato di Atene, oggi alimentato e idratato forzatamente da Berlino e Bruxelles. Per cui ancora una volta chi ha sbagliato non è stato chiamato a rispondere delle proprie condotte, che sia governo centrale comunitario o periferico membro. Mentre oggi l’amara cicuta è propinata ai cittadini ellenici, e chissà, domani, a quelli degli altri Paesi Piigs, già privati di un pezzo della sovranità nazionale.
Per cui due sono gli elementi che la prossima Commissione Europea è invitata a tenere in debita considerazione e a issare come pungolo per il futuro mandato: una seria e credibile rivisitazione dei parametri economici che, accanto ad un moderato rigore non sviliscano le politiche di ripresa, nella consapevolezza che senza un consumo interno non vi è possibilità di stimolare l’occupazione; una rivoluzione galileiana circa il concetto di uomo come primo esponente e componente della famiglia continentale.
Il rischio Weimar, oggettivamente già presente in Grecia, è un batterio che progressivamente, in assenza di modifiche radicali alla governance europea, non potrà che espandersi pericolosamente trovando terreno fertile lì dove le disuguaglianze sociali sono più evidenti. E per sfatare un tabù, è utile ricordare che in Grecia un terzo delle Pmi si trova oggi nello sgradevole e impensabile status di nuovi poveri: essendosi fermato il circuito produttivo nazionale, anche le aziende hanno seguito il destino di operai e manovali. Restando senza occupazione.
Un elemento su cui investire risorse ed energie mentali si direziona in un doppio ruolo: un ministro per l’Euromediterraneo che ci si augura il governo Renzi vorrà introdurre e un Commissario europeo che non si limiti a prendere atto di tragedie Mediterranee come l’immigrazione lasciata sulle spalle di Lampedusa o la cattiva gestione della globalizzazione, con i prodotti del made in Italy sviliti sull’altare di accordi palesemente controproducenti per il nostro Paese. Ma che, nel rispetto di leggi, regolamenti e direttive, si sforzi di creare realmente una base di convivenza dove non ci siano asini ma neanche primi della classe che schiacciano tutti gli altri.
Immaginare una business community del Mesogheios, supportata dalla banca Euromediterranea, potrebbe essere una prima concreta azione su cui far convergere posizioni e azioni. L’Italia ha la possibilità di far valere quella presenza in “trincea” dal momento che condivide le medesime sofferenze con gli altri paesi che lì si affacciano, essendo un molo naturale naturalmente piazzato in quel grande lago salato che è il Mediterraneo.
Se l’eurocrisi sarà l’occasione per immaginare nuovi scenari lo scopriremo già in occasione del semestre di presidenza europeo. Ma solo uscendo mentalmente dal binomio muscolare germanocentrismo-austerity sarà possibile rimodulare non ideologicamente memorandum e trattati dell’euro, nella consapevolezza che la moneta troppo forte così come è ora, accanto a un debito pubblico monstre e a un vecchiume amministrativo, ci porta sui binari greci. E al rischio di una guerra civile europea di cui in troppi, oggi, sottovalutano portata e imprevedibilità.