Oltre alla crisi, la società paga errori grossolani. Come il costosissimo padiglione B progettato da Jean Nouvel; i premi a pioggia erogati ad amministratori e dirigenti nonostante le perdite; le nuove assunzioni nel 2011 e l'aumento di spese generali e consulenze
Che fine farà la Fiera di Genova, oberata dai debiti e sottoposta ad una drastica cura dimagrante per riassestare i conti traballanti dopo che gli ultimi bilanci si sono chiusi con passivi compresi tra 4 e 6 milioni di euro? Qualcuno ha evocato la figura salvifica di Renzo Piano, l’architetto genovese che progettò il recupero del Porto Antico, in vista del quinto centenario della scoperta dell’America. L’intuizione aprì Genova al turismo, consentendo di attutire gli effetti devastanti della crisi dell’industria a partecipazione statale. Stavolta Piano dovrebbe ridisegnare un pezzo di waterfront. Nella speranza che Genova – perennemente in bilico sulle sue endemiche incertezze – decida quale destinazione dare ad un’area pregiatissima – appunto quella della Fiera, a specchio sul mare, alla Foce del torrente Bisagno – che rinuncerà a due dei quattro storici padiglioni espositivi e ad oltre metà della sua superficie originaria. Un’occasione imperdibile, che fa gola a molti. Immobiliaristi compresi, naturalmente.
Di proprietà pubblica (gli azionisti sono Comune, Regione, Provincia, Camera di Commercio e, in minima parte, Autorità Portuale) la Fiera di Genova ha scontato, come tutti, gli effetti della crisi mondiale. Ma ha pagato anche errori grossolani. Il padiglione B, progettato da Jean Nouvel, è costato uno sproposito: 43 milioni, di cui solo 17 provenienti da ricapitalizzazione. Non solo: è anche costato un occhio della testa in termini di canoni di locazione pagati dalla Fiera al Comune di Genova, divenuto proprietario dell’immobile e delle aree. E altre bizzarrie. Premi a pioggia erogati ad amministratori e dirigenti nonostante i passivi di bilancio accumulati dal 2009. Nuove assunzioni nel 2011, spese generali in salita, consulenze a gogo. Fiera è stata quindi costretta a ridimensionare drasticamente persino il Salone Nautico, da oltre mezzo secolo il suo fiore all’occhiello. L’edizione 2013 si è svolta infatti in soli cinque giorni e ha portato, su una superficie ridotta a 180mila metri quadrati, appena 750 espositori. I visitatori sono stati 115mila. Cifre lontane anni luce dagli anni d’oro. Il 2007, l’ultimo prima della grande crisi, aveva celebrato, sugli oltre 300mila metri quadrati del quartiere fieristico, nove giorni di affari con 327mila visitatori tra gli stand occupati da 1.500 espositori. Un pianeta scomparso all’orizzonte.
L’edizione 2014 del Nautico ricalcherà lo stesso modello, definito, con undestatement tutto genovese, “leggero”. Spazi espositivi ristretti (si rinuncerà di nuovo al palasport e al padiglione C, che torneranno al Comune), barche quasi tutte esposte in mare, nelle due darsene, i cancelli aperti un giorno in più, sei anziché cinque. Fiera e Ucina (l’associazione dei costruttori di barche) ne stanno discutendo. Anche troppo animatamente, trapela dalle stanze del potere. Ucina – il presidente Albertoni è in scadenza e vuole lasciare il segno – spinge per operare attraverso una newco, una società costituita ad hoc con Fiera delegata ad organizzare l’evento. Fiera però recalcitra. “E’ positivo che si discuta del rinnovo della convenzione per il Salone – osserva l’ad, Antonio Bruzzone conversando con ilfattoquotidiano.it – Significa che Ucina punta ancora su Genova”. Il quadro generale resta allarmante. “In Italia ci sono 64 Fiere. Troppe. Brescia e Reggio Emilia hanno chiuso e altre, Bologna e Milano, sono in chiara difficiltà. In Germania le Fiere sono appena 16….”. Bruzzone ha già definito la presenza di Fiera di Genova all’Expo 2015 di Milano. “Saremo presenti con uno stand di diecimila metri quadrati, sarà la vetrina floreale che anticipa Euroflora 2016”, l’altra gemma dello scarno calendario fieristico genovese.
Intanto entro la primavera Fiera di Genova restituirà al Comune il palazzo dello sport (il padiglione S, a forma circolare, utilizzato nella sua lunga storia anche per eventi sportivi e musicali) e il padiglione C. In questo modo azzererà i debiti con l’ente che ammontano a poco meno di 20 milioni di euro. La cura dimagrante messa in atto tra le inevitabili polemiche ha colpito anche i dipendenti, scesi da 57 a 33 unità (il surplus è stato assorbito da altre società partecipate dai soci della Fiera). Sui superstiti è calata anche la scure delle riduzioni di stipendio. Ristretta in nuovi, più angusti confini la Fiera proverà a sopravvivere. Ma a quali condizioni? E per fare che cosa?
L’attenzione si sposta ora sulle aree e i padiglioni dismessi. Come verranno riutilizzati? Una nuova cittadella dello sport, con un palasport da 2.200 posti e, al centro, il nuovo stadio del calcio costruito dalla Sampdoria? Il progetto è pronto, il club presieduto da Edoardo Garrone sta verificando le sostenibilità finanziarie dell’opera, totalmente finanziata dai privati. Se reggerà, presenterà il progetto al Comune. Manifestazioni di interesse ci sono state da parte di immobiliari torinesi e milanesi, interessate a progetti di lottizzazione (ma il mercato delle case a Genova langue) e a ristrutturare il grande edificio ex Nira che chiude a ponente il quartiere fieristico, a ridosso del cantiere navale Amico, una delle poche realtà industriali in espansione grazie al rimessaggio dei megayachts. Il presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo, fa partire il cronometro per la Darsena: “Se mi accorgo che le cose vanno per le lunghe, la metto a gara o valuto possibili assegnazioni compatibili con le esigenze legate al Salone Nautico”, minaccia attraverso le colonne del Corriere Mercantile.
In questo quadro nebuloso e incerto, è spuntato Piano. L’archistar genovese offrirà il progetto per la ricostruzione della torre-piloti, rasa al suolo dalla Jolly nero il 7 maggio scorso. La tragedia costò nove vite. La torre-piloti sorgerà in Fiera, sull’area dell’elisuperficie della Darsena Nautica. Regione e Autorità Portuale sono orientate a chiedere a Piano di ridisegnare anche un tratto del waterfront della città, collegando il Porto Antico a Ponente con il quartiere fieristico a Levante: “Si dovrà bypassare l’area delle Riparazioni Navali, oggi inserita tra le due realtà – osserva il presidente Merlo – e spostare altrove la sede dello Yacht Club Italiano e le attività diportistiche. Sarà essenziale condividere la visione del riordino delle aree fieristiche dismesse in modo da offrire nuove opportunità e una viabilità migliorata alla città intera”. Il tocco geniale e l’autorevolezza di Piano potrebbero mettere d’accordo le mille anime della città, in perenne disaccordo tra loro. Qualcuno maliziosamente ricorda che una decina di anni fa l’allora sindaco, Marta Vincenzi, affidò a Piano il compito di ridisegnare l’intero waterfront, trenta chilometri di costa da Voltri a Nervi, razionalizzando le mille attività che si affacciano sul mare genovese. Piano concepi soluzioni avvenirtistiche – come lo spostamento dell’aeroporto di Sestri Ponente oltre la diga foranea, su un’ìisola artificiale – ma il suo progetto venne prima spezzettato e infine accantonato. Troppo complesso. E costoso. Ora il nome prestigioso dell’architetto torna di moda. Per conferirgli formalmente l’incarico occorre firmare un accordo di programma fra Regione, Comune e Autorità Portuale. E le discussioni in città riprenderanno…