L'amichevole tra le due nazionali sarà una delle ultime gare internazionali ospitate dal glorioso impianto dell'Atletico, che tra due anni traslocheà nel nuovo impianto
Questa sera alle ore 22 (diretta Rai Uno) allo stadio Vicente Calderon di Madrid, casa dell’Atletico, Spagna e Italia si incontreranno in una delle ultime amichevoli prima dei Mondiali di Brasile 2014. Per gli azzurri ci sarà l’esordio dell’argentino Paletta, in campo insieme agli altri due oriundi Motta e Osvaldo, per le furie rosse del brasiliano Diego Costa, stella e cannoniere dell’Atletico. Favorita la Spagna, che proprio contro l’Italia – vittoria ai rigori nei quarti dell’europeo 2008 poi vinti – cominciò la sua irresistibile ascesa continentale e mondiale. L’ultima vittoria italiana in terra iberica profuma di storia e di leggenda: è il 27 marzo 1949, in campo con la maglia azzurra c’è quasi tutto il Grande Torino, per l’ultima volta, un mese prima della tragedia di Superga.
L’ultima sfida invece l’anno scorso, quando la squadra di Del Bosque eliminò quella di Prandelli, sempre ai rigori, nella semifinale di Confederations Cup a Fortaleza, in Brasile. Ma il vero protagonista della sfida per una volta non sarà uno dei ventidue attori in campo, ma il campo stesso, o meglio lo stadio, quel Vicente Calderon che si appresta a ospitare una delle ultime grandi partite prima di essere demolito. Inaugurato nel 1966 come Estadio Manzanares per la sua peculiare posizione sulle rive dell’omonimo fiume, lo stadio da sempre casa dell’Atletico Madrid è stato inaugurato una seconda volta nel 1972 e intitolato a Vicente Calderon, storico presidente dei colchoneros (i materassai, per le casacche a righe biancorosse che la leggenda vuole che agli albori fossero ricavate dalle coprimaterassi).
Un nome destinato a rimanere solo fino all’estate 2016, quando l’Atletico cambierà casa. Il nuovo impianto non sarà più sulle romantiche rive del fiume Manzanarre, lo stesso immortalato nel manzoniano 5 maggio, una data che a sua volta negli ultimi anni ha assunto anche una valenza calcistica, ma il rinnovato stadio della Peineta, tutto coperto e con una capacità di circa 70mila posti a sedere. Sulle rovine del Calderon, che domenica scorsa ha ospitato uno splendido derby madrileno contro il Real, stasera l’amichevole contro l’Italia e l’11 marzo la partita di ritorno degli ottavi di Champions contro il Milan, sorgerà un parco. Un po’ come è successo a Highbury (lo storico stadio dell’Arsenal prima del recente trasloco all’Emirates), che oggi ospita un complesso di appartamenti di lusso che circonda un parco rettangolare, situato esattamente dove prima c’era il terreno di gioco. Come a Londra a suo tempo per l’Arsenal, così a Madrid sono sorti gruppi di tifosi che si oppongono alla distruzione del vecchio stadio. Se infatti il Bayern ha “dovuto” cambiare casa e trasferirsi nella splendida Allianz Arena perché nel 2006 il vecchio Olimpico non avrebbe potuto ospitare le partite del Mondiale, club come Manchester United e Liverpool hanno abbandonato l’idea di costruire nuovi stadi, e gli stessi Real Madrid e Barcellona dopo lunghe trattative hanno deciso di rinnovare gli esistenti Bernabeu e Camp Nou.
L’unico paese dove gli stadi rimangono vecchi e fatiscenti e non sono né rinnovati né sostituiti è ovviamente l’Italia, con la lodevole eccezione della Juventus (aiutata dalla meno lodevole cessione a prezzo stracciati da parte del Comune di Torino dell’adiacente terreno di Continassa) e in un prossimo futuro dell’Udinese. Gli stadi italiani sono figli delle speculazioni edilizie degli appalti d’oro di Italia ’90, e in molti hanno sperato nell’assegnazione degli Europei del 2012 e del 2016, per ricevere dall’Europa nuovi aiuti nel solco della tradizione industriale italiana di privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Persi quei treni però è chiaro che i club devono fare da soli. Lo stadio è certamente solo uno dei punti su cui deve lavorare il calcio italiano per rinnovarsi, partendo magari dalla sua valenza sociale e dal potenziamento delle strutture per il calcio giovanile. Senza inseguire nessun “modello” straniero particolare, piuttosto ripartendo dal basso, dalle radici, da quel Grande Torino che con la maglia azzurra vinse per l’ultima volta in Spagna.