Imprenditori e funzionari pubblici tra i 17 arrestati della Procura di Napoli nell'inchiesta sull'appalto del sito di smaltimento. Era il fiore all'occhiello dell'esecutivo di centrodestra, che nel 2008 promise di risolvere così l'emergenza, tenendo lontana la criminalità organizzata. E affidando tutto a Bertolaso
A Chiaiano, quartiere a nord di Napoli, la mega discarica è stata realizzata e gestita dall’imprenditoria criminale. Emerge dall’operazione congiunta dei carabinieri del Noe e del comando provinciale di Caserta che ha portato all’esecuzione di 17 misure cautelari, in otto sono finiti in carcere e nove ai domiciliari. Coinvolti i titolari delle imprese, i componenti della commissione di collaudo, professionisti e imprenditori indagati a vario titolo per associazione di stampo mafioso, traffico illecito di rifiuti, falso. I titolari delle ditte, dimostrano le intercettazioni, conoscevano già prima dell’assegnazione dell’appalto che si sarebbero aggiudicati la gara e dove sarebbe sorta la discarica. Un’operazione quella della Procura di Napoli, guidata dal procuratore capo Giovanni Colangelo, pm Marco Del Gaudio e Antonello Ardituro, che, a distanza di anni, svela modalità di aggiudicazione, realizzazione e messa in opera dell’enorme invaso, osteggiato dai cittadini che, nel periodo della protesta, furono bollati come al servizio dei clan (nella foto, gli scontri con la polizia).
Era il 2008. Il neonato governo Berlusconi prometteva la risoluzione del problema dei rifiuti solidi urbani in Campania. L’esecutivo affidò a Guido Bertolaso le chiavi del commissariato. Promisero che la camorra sarebbe stata esclusa dal ciclo, l’emergenza sarebbe finita. Per raggiungere i due obiettivi inviarono l’esercito, trasformarono le cave di raccolta del pattume in siti di interesse strategico nazionale, scelsero diverse aree di smaltimento. Tra queste individuarono una cava nel quartiere di Chiaiano come discarica per i rifiuti. In funzione dal 2009 al 2011, l’invaso consentì a Berlusconi e Bertolaso di annunciare il miracolo. Bertolaso promise: “Chiaiano sarà la discarica più sicura del mondo”. E’ andata diversamente.
In carcere finisce Giuseppe Carandente, titolare della Edilcar, ‘imprenditore camorrista’, che ha realizzato in subappalto i lavori nell’invaso così come destinatario della misura risulta Antonio D’Amico, proprietario della Ibi, sigla al centro di cambi societarie per evitare stop prefettizi, che vinse la gara di appalto. Secondo l’inchiesta Carandente è contiguo al clan dei Casalesi, ma soprattutto uomo dalle mille relazioni in ambienti che contano. Proprio la Edilcar, longa manus del crimine organizzato, ha lavorato più volte in subappalto per le società Fibe-Fisia, gruppo Impregilo, impegnate nella gestione del ciclo in Campania. Rapporti che, ricostruiscono anche i pentiti, hanno garantito a Fibe la tranquillità territoriale. Le intercettazioni chiariscono che Edilcar e Ibi (finite ora sotto sequestro) sapevano che si sarebbero aggiudicate la gara e dove sarebbe sorto l’invaso prima ancora che la gara si svolgesse.
Ai domiciliari Paolo Viparelli, direttore tecnico della discarica. Tra gli indagati anche Giovanni Perillo, ex direttore della Sapna, la società provinciale di Napoli che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, per aver contribuito alla gestione della discarica in difformità dal progetto iniziale e dalle norme in materia. La procura di Napoli ha precisato che Fibe non è coinvolta in nessun modo nell’indagine.
Vitale Diener della Ibi, coinvolto nell’inchiesta, al telefono con Giuseppe Carandente della Edil Car, nel giugno 2008, assicurava: “Comunque se si deve fare la discarica la facciamo noi, non la fa nessun altro (…). Io mi sono visto con loro e mi hanno detto che è intenzione di Bertolaso di far partire questa discarica nel più breve tempo possibile e quindi tenetevi pronti”. In quel periodo non era neanche stata indetta la gara. Al lavoro dei carabinieri del Noe si sono aggiunte le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno inquadrato la contiguità degli imprenditori ai clan di camorra. A partire dal pentito Gaetano Vassallo che ha raccontato già nel 2008: “I Carandente sono due fratelli entrambi legati al clan Mallardo, Antonio D’Amico e Giuseppe Carandente sono in rapporti con Pasquale Zagaria (fratello dell’allora latitante Michele, ndr)”. Nonostante l’esercito e le promesse, il crimine organizzato ha fatto bingo con la discarica di Chiaiano. Mario Carandente Tartaglia, capostipite della famiglia, coinvolto nell’indagine della Procura, a Rainews24 spiegava: “Noi dobbiamo stare regolari, abbiamo il foglio dell’antimafia. In prefettura non conosciamo nessuno, abbiamo le carte in ordine. Siamo incensurati. Noi non li conosciamo i clan”. Qualcuno nelle istituzioni gli ha creduto.
“L’avevamo detto”, lamentano ora ai militanti antidiscarica. “Dell’indagine quello che mi colpisce di più sono due aspetti”, piega Ivo Poggiani, consigliere della VIII Municipalità, che comprende anche Chiaiano e da sempre in prima linea nella lotta contro la discarica. “Le false attestazione dei funzionari pubblici che hanno consentito alle imprese della camorra di lavorare e i rapporti di Fibe, partner più volte in tutte le grandi opere dello Stato, con i Carandente Tartaglia: 63 contratti assieme per la gestione dei rifiuti. Come dire che il sodalizio per la gestione dei rifiuti era portato avanti da stato e camorra attraverso contratti in carta bollata”.
Aggiornato dalla redazione web alle 11,06