Chi ha detto che in Italia non cresce più nulla? La disoccupazione raggiunge il 13%, il debito pubblico approssima il 133% del Pil, le sofferenze bancarie varcano la soglia dei 160 miliardi, 8,2% degli impieghi: sei anni fa erano il 2,8%. Ma basta cambiare prospettiva, e una salita diventa una discesa. Per ogni disoccupato ci sono oggi solo 6,7 occupati, erano 15 nel 2008. Il Pil è sceso al 75% del debito pubblico. Le banche hanno 11 euro di crediti “buoni” per ogni euro che non viene onorato (dai 35 euro del 2007).
Cos’hanno a che vedere questi dati con la Bce? Il fatto è che la banca centrale ha anch’essa dei doveri. L’art. 127 del Trattato sull’Unione statuisce che una volta raggiunta “la stabilità de prezzi” la Bce deve “contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea”. Che sono: “La pace e… il benessere dei suoi popoli… la crescita economica… la piena occupazione e il progresso sociale… la coesione economica, sociale e territoriale tra gli Stati membri”. Nell’ottobre 1998 il Consiglio direttivo della Bce ha dato una definizione quantitativa, tuttora vigente di “stabilità dei prezzi”: “un aumento sui 12 mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo per l’area dell’euro inferiore ma prossima al 2%, su un orizzonte di medio termine”.
L‘inflazione in Europa è 0,8%, ben lontana dall’obiettivo statutario. Ma quali sono le prospettive di medio termine? Gli indicatori anticipatori come l’indice dei prezzi alla produzione hanno iniziato a scendere. Scendono i prezzi degli immobili. Decelerano i salari (+2% un anno fa, +1% oggi). L’ultimo Survey of Professional Forecasters prevede l’inflazione all’1,1% nel 2014 e all’1,4% nel 2015. Il break-even rate sul mercato dei titoli pubblici tedeschi indicizzati segnala attese di inflazione nei prossimi 5 anni intorno all’1%. Il Bollettino di febbraio della Bce rivela che il tasso di crescita della moneta (M3) continua a ridursi (+1% nei dodici mesi, rispetto al 4% del 2012 e al 12% del 2007), il credito all’economia continua a contrarsi (passando dallo 0% del primo trimestre 2013 al -0,4% di giugno, -1,4% di novembre e -2% del dicembre scorso). La Bce prevede pertanto “un prolungato periodo di bassa inflazione” nel medio termine.
La Bce sta mancando gli obiettivi d’inflazione nel momento peggiore. Un punto in meno di inflazione in Italia accresce il rapporto debito pubblico/Pil di 1,25 punti percentuali ogni anno. Inoltre, scoraggiando l’espansione della domanda, del Pil e dell’occupazione, fa salire il deficit pubblico e le sofferenze bancarie. A sua volta un deficit più alto genera più austerità e, quindi, meno occupazione. Infine, se l’inflazione europea fosse al 2% o al 3% l’Europa mediterranea – con l’inflazione a 0,5% – potrebbe recuperare 2% di competitività ogni anno, senza cadere in deflazione. La banca centrale sta invece mancando, oltre agli obiettivi monetari e dei prezzi, anche gli obiettivi sociali: che non cita mai ma che sono previsti dall’art.3 del Trattato sull’Ue.
A Francoforte si potrebbe fare di più? Non si afferma di avere già una “politica monetaria accomodante”? L’orientamento della politica monetaria non si giudica in base al fatto se i tassi d’interesse sono alti o bassi, perché tutto è relativo alle condizioni della congiuntura. Secondo la Taylor Rule – la regola aurea della politica monetaria – i tassi d’interesse a breve dovrebbero essere attualmente fra 0% e -0,6%: perciò il livello attuale dei tassi (+0,25%) non è affatto accomodante. La Bce potrebbe almeno portarli a zero: come fanno paesi – Usa, Giappone – dove la crescita nominale è più alta che da noi, e l’output-gap inferiore; a maggior ragione se la manovra è “poco efficace” bisogna aumentare la dose. La Bce, inoltre, “potrebbe essere più creativa – come la Banca d’Inghilterra – nelle sue politiche contro il credit crunch”. Come la Fed, potrebbe fare un “quantitative easing“. E “potrebbe rendere più chiara e credibile la sua forward guidance” (Roubini).
Sembra invece che l’attenzione di tutti sia concentrata sulla questione della deflazione (arriva, non arriva?). Secondo Mario Draghi “la Bce monitora attentamente gli andamenti monetari ed è pronta a intervenire” nel caso la deflazione diventi un rischio reale. Anche l’ex-capo economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, lo scorso gennaio ha lanciato l’allarme deflazione, invitando la Bce a “tenersi pronta” a reagire. Ma perché la Bce dovrebbe reagire solo se l’inflazione diventa negativa, e non se è disastrosamente, illegalmente bassa?
Finora abbiamo assistito in silenzio alle inaudite pressioni di altri paesi che, brandendo lo spauracchio dell’inflazione, miravano ad impedire alla Bce di fare il suo dovere. Ma quale inflazione? La Bce ha un mandato straordinariamente limitato, che non ha uguali in nessun’altra parte del mondo. Almeno quel poco che i Trattati Europei prevedono ha il dovere di attuarlo: non con misure di facciata, ma con l’energia che la presenza in Europa di 26 milioni di disoccupati impone.