Nella sentenza depositata il 30 gennaio 2012, il giudice Riccardo Crucioli scriveva nero su bianco che i fatti indagati, relativi a quanto era accaduto nel carcere di Asti, “potrebbero essere agevolmente qualificati come tortura” secondo la definizione che di essa forniscono le Nazioni Unite. Tuttavia, non contemplando il codice penale italiano il reato di tortura, il giudice spiegava come non avesse lo strumento per punire adeguatamente gli agenti di polizia penitenziaria considerati colpevoli, dovendosi rivolgere verso reati – lesioni, abuso di autorità – che prevedevano tempi di prescrizione e modalità di perseguimento tali da mandare tutti liberi. Mai era stato detto così chiaramente: la tortura c’è stata, ma gli strumenti a disposizione della magistratura non sono sufficienti a punirla.
Racconto l’episodio perché è meno noto di altri. Ma gli eventi di Genova 2001 hanno già fatto sentire con forza la mancanza del reato di tortura dal nostro ordinamento. L’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione Onu contro la tortura che impone di prevedere la fattispecie di reato, ma senza troppa vergogna è da decenni inadempiente di fronte al mondo intero. La tortura in Italia esiste. Ha purtroppo tanti nomi e tanti volti. A non esistere è invece l’omonimo reato.
Ieri il Senato ha approvato un disegno di legge per l’introduzione del reato di tortura. Non è il migliore dei testi possibili. Il reato è qualificato come un reato comune, commettibile da chiunque. Le Nazioni Unite ci spiegavano invece che solo un pubblico ufficiale, che legittimamente tiene qualcuno in custodia, può diventare un torturatore. Altri reati saranno ascritti al privato cittadino che usa un certo tipo di violenza. L’Italia ha scelto invece una diversa definizione, depotenziando il valore effettivo e simbolico del reato di tortura. Si poteva fare di meglio, è vero. Ma resta il fatto che finalmente un passo è stato compiuto.
Salutiamo con rispetto questo passo sostanziale verso una maggiore civiltà democratica. La tortura non è un reato come gli altri, non è un reato privato. Non è un caso che nella nostra Costituzione si parli una sola volta di punizione, ed è per dire, all’articolo 13, che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Chi era su quel marciapiede di Ferrara in quella notte del settembre 2005 a prendere a calci il diciottenne Federico Aldrovandi rappresentava lo Stato. Era lì a nome anche mio, anche vostro, di ciascuno di noi. Approvare la legge sulla tortura significa togliere i nostri nomi da questi omicidi.
Ora la palla passa alla Camera. Troppe volte in passato abbiamo visto finire la questione nel pantano. Bisognerà tenere elevatissima la nostra attenzione.