Un aiuto alla “lost generation”. Una serie di benefici per chi ha meno di 25 anni, è single e vive fuori casa dei genitori. È una delle misure contenute nel budget 2015 presentato da Barack Obama e che non ha, al momento, alcuna possibilità di passare attraverso il Congresso Usa. I repubblicani hanno infatti già presentato una serie di obiezioni strutturali, annunciando la loro opposizione. Il budget 2015, che prevede una manovra di circa 4 mila miliardi, diventerà quindi oggetto di scontro politico, soprattutto in vista delle elezioni di midterm 2014.
La norma sugli aiuti ai più giovani è contenuta nell’“Earned Income Tax Credit”, un programma di benefici fiscali che sinora aveva interessato i lavoratori americani a basso reddito, sopra i 25 anni, singoli o in coppia (con figli). Obama propone di estendere i benefici anche a chi oggi ha tra i 21 e i 24 anni e, trovandosi lontano da casa dei genitori, non guadagna un salario decente. Il Tesoro americano ha calcolato che la misura, se approvata, coinvolgerebbe circa 3,3 milioni di giovani americani e innalzerebbe al di sopra della linea di povertà mezzo milione di persone. “Per giovani ad un livello formativo della vita, si tratterebbe di un’enorme potenzialità”, ha annunciato la Casa Bianca.
Il fatto è che la riforma, con ogni probabilità, resterà sulla carta. Il budget per l’anno fiscale 2015, che parte il prossimo 1° ottobre, è del resto pieno di proposte che sembrano fatte, più che per trovare un compromesso con i repubblicani, per illuminare la piattaforma democratica delle elezioni 2014 – che avrà la questione dell’ineguaglianza al centro della battaglia politica. La stessa Casa Bianca ha sintetizzato lo spirito politico della proposta di budget con queste parole: “Si tratta di investire in infrastrutture, in programmi di avviamento al lavoro e nell’educazione e negli asili. Si tratta di tagliare le tasse per i lavoratori americani e di chiudere le scappatoie fiscali dei ricchi e dei ‘ben connessi’”.
Si tratta, verrebbe da aggiungere, di un programma che non ha appunto nessuna possibilità di passare attraverso la Camera a maggioranza repubblicana e cui Obama affida, oltre che le speranze elettorali dei democratici, anche il senso della sua presidenza. Mentre si avvicina il momento in cui l’attenzione della Washington politica sarà tutta rivolta alla scelta del prossimo inquilino della Casa Bianca, l’attuale presidente cerca di consolidare, forse soprattutto per i posteri, il messaggio dei suoi otto anni di governo. “Come Paese – ha detto Obama – dobbiamo decidere se vogliamo proteggere i tagli alle tasse per i più ricchi o allargare le opportunità per ogni americano”.
“Questo budget non è un documento serio, ma una sorta di brochure da campagna elettorale”, ha già fatto sapere Paul Ryan, che da chairman dell’“House Budget Committee” presenterà la prossima settimana il piano fiscale dei repubblicani per il prossimo anno. Se il G.O.P. ha infatti accolto con favore l’intenzione di Obama di sforbiciare alcuni programmi federali e offrire una serie di riduzioni alle tasse, soprattutto nei settori dell’educazione e della ricerca, rilanciando gli investimenti federali per strade e altri lavori pubblici, resta lo scontro sulla questione dei tagli alle tasse dei più ricchi. Che Obama vuole; e che i repubblicani respingono.
Con un copione già più volte sperimentato, l’America e la politica americana si avviano dunque alle elezioni del novembre 2014. I democratici sperano che il piano economico di Obama li aiuti a consolidare la loro base sociale – giovani, donne, classe media e ceti più poveri – che si è rivelata ancora vincente nel 2012 (anche per questo, dal budget 2015, sono spariti i tagli al Social Security che Obama aveva fatto balenare ai repubblicani a inizio mandato). I repubblicani fanno leva sulla necessità di ridurre il deficit attraverso la riduzione del peso fiscale e rilanciano tutti i dubbi e le paure sui presunti effetti disastrosi dell’Obamacare. Ancora in questi giorni, diversi esponenti conservatori hanno proposto di rimpiazzare il Medicare con i voucher e di sostituire il Medicaid con una serie di finanziamenti fissi – ed estremamente ridotti – ai singoli Stati. La battaglia, appunto già vista tante altre volte, è soltanto all’inizio e proseguirà fino a novembre.