Quanto sia profonda la frattura tra la Cgil di Susanna Camusso e la Fiom di Maurizio Landini lo si legge chiaramente nelle parole di Danilo Gruppi, ex numero uno della Camera del Lavoro di Bologna, fedelissimo del segretario nazionale. Che il 5 marzo scorso, a causa di forti spaccature interne alla Cgil cittadina, soprattutto con le tute blu, nel chiudere il congresso ha annunciato la volontà di non ricandidarsi alla guida del sindacato bolognese. Decretando, di fatto, l’avvio di una fase di commissariamento. Due giorni dopo il gran rifiuto, un avvenimento senza precedenti nella camera del lavoro più grande d’Italia, che ha sempre visto rieleggere per il secondo mandato i propri capitani, Gruppi non usa mezzi termini nel puntare il dito contro la fronda dissidente che l’ha portato a lasciare il timone della Cgil: “E’ una fronda che trasforma il dissenso in un ripiegamento identitario quasi autistico, che rischia di portare all’incapacità di trovare il benché minimo punto di contatto tra posizioni altrui. E che inquina la discussione con dinamiche non trasparenti, miserie umane, una componente di irrazionalità politica legata alla cultura del grillino, che vede prevalere la parte destruens del sindacato, capace, sì, di cogliere l’esasperazione del momento, ma senza essere in grado di risolvere nulla”.

Il riferimento alle tute blu, che a Bologna rappresentano una componente significativa della Cgil, con 900 delegati presenti quasi in ogni realtà lavorativa, Gruppi non lo fa direttamente, tuttavia il richiamo indiretto c’è. Perché i metalmeccanici costituiscono il cuore pulsante dell’area malpancista, critica sulla gestione locale del sindacato, ma soprattutto nei confronti della segreteria nazionale, che il 10 gennaio scorso ha siglato, con Confindustria, Cisl e Uil, il Testo unico sulla rappresentanza sindacale. Testo che Landini ha subito bocciato, identificandolo come il mezzo che ha aperto “una crisi democratica all’interno della Cgil”. E, sempre le tute blu, rappresentano anche la più sostanziosa fetta dell’area ‘dissidente’ causa materiale del gran rifiuto di Gruppi, che durante l’ultima giornata del congresso aveva tentato di aprire a un dialogo, con Fiom ma anche altre categorie, dalle comunicazioni al commercio, senza però riuscirci.

I numeri per ricandidarsi ed essere rieletto, sottolinea l’ex segretario bolognese, c’erano. “Il documento generale è stato votato a larga maggioranza durante il congresso – precisa – e non c’è una maggioranza alternativa”. Anche perché in lista per la carica di segretario per il prossimo mandato c’era solamente Gruppi. La decisione di lasciare, abbandonando così la Camera del Lavoro al commissariamento, “è politica: si sta determinando una situazione che richiede un’azione collettiva e individuale – sottolinea Gruppi – il mio gesto è stato una provocazione utile a costringere il sindacato a fare i conti con ciò che succede”. L’emergere, cioè, di una “deriva in cui rintraccio una componente di fondamentalismo. La Cgil è per definizione pluralista: non si può pretendere che un punto di vista annienti gli altri, che vada bene per tutte le categoria. Questa è la negazione della realtà”.

Ed è a quella componente, causa del suo passo indietro, che Gruppi pensa quando cita le parole del leader storico del Partito Comunista, Palmiro Togliatti, il quale, nel descrivere la crisi intestina al Pc, disse: “il Partito Comunista è un grande cavallo di razza. Ma anche i cavalli di razza hanno i pidocchi”.

Difficile, quindi, non considerare quanto accaduto all’ombra delle due Torri, anche per il peso specifico che la Camera del Lavoro di Bologna ha a livello nazionale, come un campanello d’allarme per gli equilibri del sindacato nazionale, delicatissimi dal 10 gennaio scorso, data della firma del testo sulla rappresentanza, pomo della discordia tra Camusso e Landini. Soprattutto in vista del congresso di maggio. Gruppi questa ipotesi la smentisce, e attacca l’ex Sindaco di Bologna Sergio Cofferati che in un’intervista al Corriere parla di “malessere diffuso nei confronti della Cgil nazionale”: “Può darsi che l’ex sindaco, confortato dai 15.000 euro mensili che prende un eurodeputato, trovi il tempo di guardare al malessere della Cgil. Credevo che fosse impegnato in altro”. Tuttavia, l’ex segretario provinciale non nega di aver tentato di suonare l’allarme circa la situazione del sindacato, al centro di una crisi di rappresentanza: “La Cgil rischia la catastrofe. Rischia, cioè di neutralizzarsi da solo”.

Del proprio futuro personale Gruppi non parla, se non per precisare che non andrà “in disarmo. Se qualcuno si era fatto l’idea che mi togliessi dai piedi temo subirà una cocente delusione”. Di quello della Camera del Lavoro di Bologna, invece, ieri l’ex segretario ha discusso con Camusso che, come il sindaco di Bologna Virginio Merola, l’ha chiamato per esprimergli “vicinanza”. “La nomina di un successore non avverrà in stile Grande Fratello”, è l’unica informazione che concede Gruppi, senza specificare se la scelta ricadrà su un nome proposto dall’interno o se verrà da Roma. Il toto nomi parla di Maurizio Lunghi, numero due della segreteria Gruppi e originario della Fiom, ma per sapere qualcosa di più bisognerà attendere che la segretaria confederale Elena Lattuada e Vincenzo Colla, numero uno della Cgil Emilia Romagna, consultino i 150 membri del direttivo. “La Cgil c’è oggi e ci sarà domani. Per situazioni come questa ci sono regole e procedure da seguire, è solo questione di calendario. Il sindacato, comunque – assicura Gruppi – non è nel caos”.

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