L'ex ministro dell'Economia: "Scorretto dire che abbiamo nascosto la realtà. E comunque il debito è aumentato anche perché abbiamo dovuto pagare i conti lasciati con i fornitori dai governi precedenti"
“L’ipotesi che Letta abbia raccontato storie è assolutamente non vera. Noi abbiamo sempre esattamente detto come stavano le cose”. L’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, non ci sta. E così, dalle colonne del Corriere della Sera risponde alla critiche mossegli dalla Commissione Ue e dal neo premier Matteo Renzi. “Nel Documento di economia e finanza ho scritto che il governo italiano si poneva per il 2014 l’obiettivo di una crescita dell’1,1 per cento. E a novembre mi sembrava di aver convinto la Commissione e Olli Rehn che le misure previste dalla legge di stabilità e da altri provvedimenti avrebbero fatto ripartire la nostra economia a quel ritmo.
“Magari è obiettivo che il governo Renzi può giudicare insufficiente. Ma affermare che si è nascosta la realtà è scorretto”, rivendica l’ex dg di Bankitalia secondo il quale Bruxelles ha interpretato “come stime i nostri obiettivi: due cose che sono evidentemente molto diverse”. L’Europa, aggiunge, dovrebbe sapere che il Pil “è sceso”, e “non a causa di chissà quali politiche folli, ma per colpa della crisi”, mentre “il debito è aumentato anche perché abbiamo dovuto pagare i conti lasciati con i fornitori dai governi precedenti, che si erano ben guardati dall’onorarli. Quello di Enrico Letta è stato il primo governo che ha restituito i soldi alle imprese”. E, ancora, “Olli Rehn conosce perfettamente la situazione di oggi, perché gli è stata illustrata nei dettagli. A metà febbraio gli ho mostrato tutto, compresi i conti della spending review, questo improvviso cambio di giudizio mi pare incomprensibile”.
Nessuno scampo al premier, poi, sulla possibilità che l’Europa cambi alcune delle sue regole sui bilanci pubblici non dà scampo al premier: “Non esiste una possibilità su un milione che vengano cambiate – spiega – l’unanimità non ci sarà mai”. Infine l’affondo: “A pensare male si potrebbe immaginare che l’accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l’economia in ripresa… A quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via”, conclude. Anche perché il tempo è tutto: “Avessi saputo che sarebbe durata dieci mesi non so se avrei accettato. Per impostare un lavoro così complicato come quello affidato al ministro dell’Economia e portare a casa un risultato, servono due anni”, rivendica.