Il dibattito sulla Tobin Tax si trascina dallo scoppio della crisi, ma al di là di alcune applicazioni parziali e infelici, è solo aumentata la confusione. Eppure un’imposta sull’attività finanziaria, opportunamente rivista, avrebbe molti meriti.
di Salvatore Bragantini e Marco Onado (Fonte: Lavoce.info)
Una tassa con troppi obiettivi
Il dibattito sulla Tobin Tax si trascina dallo scoppio della crisi, ma al di là di alcune applicazioni parziali e infelici, è solo aumentata la confusione. Qui vogliamo dimostrare perché un’imposta sull’attività finanziaria (Tft, tax on financial transactions nella proposta della Commissione Ue), opportunamente rivista, ha invece molti meriti, primo fra tutti quello di poter risolvere una delle questioni ancora aperte dell’Unione bancaria.
C’è confusione sulle finalità. Si è parlato di colpire le banche che han causato la crisi, di ridimensionare una finanza ipertrofica, di correggere le distorsioni di mercati finanziari sempre più speculativi. Obiettivi comprensibili, anche nobili, ma da non affidare, tutti insieme, a un’imposta, tanto meno a vasto raggio e indifferenziata come questa. È necessario intervenire in questi campi, ma con strumenti specifici, che correggano i fallimenti del mercato che han portato ai disastri che conosciamo.
Anche il nome di Tobin Tax è fuorviante. Il miglior tributo alla memoria del grande economista di Yale, è quello di non attribuirgli la paternità di ogni proposta, anche sballata, si richiami alla sua. Anche perché quando egli propose un’imposta per “gettare sabbia negli ingranaggi del mercato” i derivati in pratica non esistevano, mentre oggi in valore nazionale superano i 700 trilioni di dollari. Quanti granelli servono per rallentare meccanismi così frenetici?
Il risultato della confusione è che prevale il partito dei contrari all’imposta costituito – chi l’avrebbe mai detto – dalle potenti lobby dell’industria finanziaria. Adducono due motivi: la tassa sarebbe facilmente eludibile e sposterebbe le transazioni su altre piazze, con effetti nocivi per banche e clienti. Eppure, o è una bolla di sapone facile da scansare o un potente veleno, il timore del quale indurrebbe alla fuga; non le due cose insieme.
La Tft serve banalmente a raccogliere un gettito elevato, perché la potenziale base imponibile è enorme. Di questi tempi, una nuova fonte di entrate fiscali è da prendere in seria considerazione, soprattutto – come vedremo – se a livello europeo e finalizzata non a pagare le spese correnti degli Stati, ma a risolvere alcuni problemi strutturali messi a nudo dalla crisi.
La base imponibile
La Tft deve avere la più ampia base imponibile e colpire non solo certi titoli (come finora proposto da un approccio miope), ma l’intera piramide della finanza. La tassa che proponiamo è proporzionale al numero delle transazioni, non allo stock di strumenti finanziari in essere, né al valore delle transazioni. I dati a livello mondiale su stock e flussi ci dicono che la base imponibile è enorme.
Nel mondo le attività finanziarie complessive (azioni, obbligazioni e crediti bancari) hanno raggiunto la bella cifra di 269 trilioni di dollari e i derivati Otc sono 693 trilioni, un decimo dei quali trattati sui mercati regolamentati). Per i mercati azionari e obbligazionari europei, i dati Fese dicono che ogni giorno nel 2014 si scambiano titoli azionari per 21 miliardi euro e obbligazionari (compresa la parte fuori dal book elettronico), per 43 miliardi.
Non bisogna però trascurare il mercato dei cambi, che era nel mirino di Tobin quando era molto più piccolo. Oggi alimenta scambi per 5,3 trilioni di dollari al giorno, in continuo aumento. Si tratta per la gran parte di scambi fra istituzioni finanziarie: gli scambi dei non-financial customers sono 465 miliardi. Sono anche scambi a forte sospetto di manipolazione, riguardando piattaforme opache e fonte di profitti facili per le banche.
Sempre per il mercato monetario, vanno presi in considerazione anche gli scambi fra banche (compresi quelli con banche centrali) e i pronti contro termine che alimentano altri flussi colossali (5,5 trilioni di euro è la somma stimata da Icma per un campione di 68 grandi banche).
Cosa colpire e come
Le leggi in vigore in alcuni Stati Ue, come Italia e Francia, colpiscono le transazioni, con un’imposta proporzionale variamente modulata fra azioni/obbligazioni, e derivati.
La Commissione europea propone una tassa sulle transazioni: uno per mille sui titoli e dell’uno per diecimila sui derivati., che potrebbe raccogliere fra 30 e 60 miliardi. Il gettito potrebbe ancora scendere se il Regno Unito proseguirà nella sua dura opposizione.
Le cose cambierebbero se si seguisse un approccio tutto diverso, puntando a una tassa in cifra fissa, e minima, da applicare a ogni transazione: su azioni, obbligazioni, scambi in valuta, crediti, mutui, sull’interbancario, derivati, eccetera.
Un tale prelievo non indurrebbe all’elusione e le minacce di trasferire attività al di fuori della Ue si sgonfierebbero: nessuno sposterebbe le operazioni da Londra a Singapore per eludere una minima tassa fissa. La cifra fissa potrebbe però essere stabilita in importi diversi per diversi segmenti, ad esempio per i derivati; per i cambi dovrebbero essere determinati importi diversi da quelli su azioni e obbligazioni.
Una tale tassa non sarebbe avversata dal Regno Unito, consentendo di varare una Tft valida per tutta la Ue, obiettivo in sé meritevole. Londra ha già un’imposta di bollo proporzionale sui trasferimenti azionari, che rende 5 miliardi sterline l’anno, senza che questo incida sull’importanza di Londra come piazza finanziaria internazionale…
Una stima affidabile del possibile gettito annuo di tassa simile in tutta la Ue è ardua, ma in base al numero di operazioni su azioni, obbligazioni e derivati sui mercati regolamentati, e di ipotesi induttive sul numero di operazioni in altri ambiti, lo si può stimare in 10 miliardi euro. Sarebbe una cifra inferiore alla proposta della Commissione, ma mentre quella probabilmente non uscirà dal libro dei sogni, questa avrebbe maggiori probabilità di essere realizzata.
Perché i timori sono eccessivi
L’imposta che proponiamo sarebbe sì regressiva, ma la sua estrema dispersione la renderebbe meno avvertibile; le opposizioni sarebbero più tenui. L’effetto di traslazionedell’imposta sarebbe limitato; quanto più si colpiscono attività che alimentano scambi interni al sistema finanziario, tanto più la traslazione è fra banche. Operazioni e volumi si ridurrebbero, perché gli operatori si muovono anche per minimi margini moltiplicati per un gran numero di operazioni. Resta da dimostrare che ciò sia un male nella prospettiva dell’interesse generale.
L’imposta potrebbe far diminuire le transazioni, ma non sarà un piccolo costo fisso a creare ostacoli insormontabili per il buon funzionamento dei mercati finanziari; comunque è ormai dimostrato che una parte cospicua dell’attività finanziaria oggi alimenta scambi improduttivi fra istituzioni finanziarie o è addirittura nociva. Non è detto che la tassa blocchi solo le operazioni “cattive” e lasci passare le “buone”: è un provvedimento a pioggia, che cade su giusti e ingiusti. Ma il mito che così “si riduce la liquidità” e “si frena l’innovazione” non regge. (1)
La prima tassa europea
La prospettiva di un ordinato sviluppo dell’Unione monetaria riposa su rapido avvio dell’unione bancaria. Essa a sua volta presuppone la disponibilità, in tempi non biblici, di un Fondo europeo a supporto della risoluzione delle crisi. Qui la situazione non è incoraggiante perché nonostante gli appelli di Mario Draghi manca ancora un credibile backstop, cioè una rete di sicurezza per le banche che avranno un fabbisogno di capitale e che non riusciranno a reperire le risorse necessarie sul mercato.
Gli accordi attuali prevedono che i fondi, inizialmente nazionali, siano in un fondo europeo solo nel 2024, quando dovrebbero ammontare a 60 miliardi, cifra che può sembrare notevole ma è una frazione minima degli attivi delle grandi banche europee. Le ipotesi su come fronteggiare una (probabile) carenza del fondo durante questo lungo preludio al Fondo europeo (ad esempio il ricorso al Fondo Esm) sono ancora nebulose.
La Tft è in questa luce l’imposta ideale: alimenterebbe (con risorse provenienti dal sistema finanziario) il fondo per la risoluzione delle crisi dandogli da subito dimensioni credibili: proprio quello che ora manca ed è causa dello scetticismo che ancora circonda il sistema bancario europeo. Sarebbe merito non da poco della Tft permettere al vascello dell’unione monetaria di doppiare il Capo Horn che abbiamo davanti.
* L’articolo riflette le posizioni esposte dagli autori in un seminario sul tema promosso da Arel, Roma il 20 febbraio.
(1) Adair Turner, Too much of the wrong sort of capital flow, Institute for New Economic Thinking, January 2014.
Bio degli autori
Salvatore Bragantini – E’ presidente di i2 capital SGR società di gestione del fondo chiuso i2 capital partners. Già direttore generale di Arca Merchant, poi commissario Consob e quindi amministratore delegato di Centrobanca. Riveste attualmente l’incarico di amministratore indipendente di due società quotate allo Star: Interpump Group e Sabaf. Rappresenta l’Italia, su designazione della Consob, nel Market Participants Consultative Panel che assiste il CESR – Committee of European Securities Regulators – nelle misure di attuazione delle direttive dell’Unione Europea. E’ editorialista del Corriere della Sera dal 1994.
Marco Onado – E’ stato professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari nelle Università di Modena (1972-1984) e di Bologna (1984-2001). Visiting Professor presso l’University College of North Wales (1984) e Brown University (1989). Membro del Comitato Scientifico di Prometeia (Associazione per le ricerche econometriche, Bologne), Consob, Ente per gli studi monetari bancari e creditizi “Luigi Einaudi” e delle riviste “Banca Impresa e Società” e “Mercato Concorrenza Regole”. Commissario Consob dall’ottobre 1993 all’ottobre 1998 (in tale periodo ha fatto parte di varie commissioni, fra cui la “Draghi” per la preparazione del Testo Unico della Finanza). Consigliere CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro (esperto di nomina Presidente della Repubblica), Editorialista de “Il Sole 24 Ore”. Attualmente, insegna Diritto ed Economia dei Mercati Finanziari e Comparative Financial Systems presso l’Università Bocconi di Milano. Le sue aree di interesse scientifico sono la struttura dei sistemi finanziari e i confronti internazionali (anche come coordinatore della ricerca dell’Ente Einaudi “Verso un sistema bancario europeo). Gli aspetti economici della regolamentazione dei mercati e degli intermediari finanziari. La corporate governance delle società quotate. La microeconomia dei mercati finanziari.