Sul lavoro tra uomini e donne c’è un forte divario. Anche se laureati. A cinque anni dalla laurea, gli uomini guadagnano il 22% in più di un compagna di corso. I numeri li ha elaborati AlmaLaurea, parlando con quasi 210mila laureate. I dati del XVI Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati italiani saranno discussi il 10 marzo in un convegno a Bologna, ma sono stati anticipati alla stampa per l’8 marzo. Anche se da festeggiare c’è poco, visto che si tratta dell’ennesimo certificato di quanto le donne siano penalizzate nel lavoro.
In Europa lo chiamano “pay gap”. Guardando anche solo al dato delle retribuzioni, a un anno dalla laurea, gli uomini guadagnano il 14% in più delle colleghe (1.254 euro contro i 1.098 euro). Dopo 5 anni va peggio, visto che lo stipendio di un uomo è più robusto del 22% (1.626 contro 1.333 euro). Anche tenendo conto di tutte le variabili che possono influire sui differenziali retributivi (come percorso di studio, età media alla laurea, voto, formazione post-laurea ecc…), emerge – sottolinea il consorzio interuniversitario – che a parità di condizioni gli uomini guadagnano in media 90 euro netti in più al mese dopo un anno, 172 euro dopo cinque.
Meno pagate, e con tante soddisfazioni professionali in meno, visto che una donna pur laureata ha meno possibilità di trovar lavoro, il precariato tende al rosa, e far figli danneggia sì professionalmente, ma molto di più le donne. Tra i laureati magistrali biennali già ad un anno dalla laurea le differenze, in termini occupazionali, si vedono e sono significative (lavorano 52 donne e 59 uomini su 100). A cinque anni dal titolo, le differenze restano tali, circa 7,5 punti percentuali, visto che lavorano 79 donne su 100 contro 86,5 uomini su 100.
I ricercatori hanno poi avuto la curiosità di vedere come il conto del ‘metter su famiglia’ lo paghi in buona parte la mamma. A un anno dalla laurea tra chi ha figli il tasso di occupazione è pari al 44% per gli uomini, al 27% tra le donne. A cinque anni il differenziale svetta a 25,5 punti percentuali: il tasso di occupazione è all’89% tra gli uomini, al 63,5% tra le laureate. Senza considerare, ovviamente, che anche tra le donne, chi ha figli è più penalizzata di una che non li ha: a un anno dal conseguimento del titolo lavora il 39% delle laureate senza bambini e il 27% di quelle con figli. Dopo cinque anni il differenziale resta quasi lo stesso anche se il numero delle occupate sale: lavora il 76% delle laureate senza figli contro il 63% di quelle che ne hanno.
Lo studio certifica che gli uomini possono contare più delle colleghe su un lavoro stabile, visto a un anno dalla laurea le quote sono 39 e 31%. A cinque anni dalla laurea il lavoro stabile è una prerogativa molto maschile: può contare su un posto ‘sicuro’, infatti, il 79% degli occupati, il 67% delle occupate. Dati che fanno parlare Andrea Cammelli, direttore e fondatore di AlmaLaurea, di “un segnale di un forte arretramento culturale e civile del Paese rispetto all’obiettivo di realizzare una partecipazione paritaria delle donne al mercato del lavoro”. Senza considerare che si tratta di un arretramento che “contribuisce inoltre a svalutare gli investimenti nell’istruzione universitaria femminile”.