Se il Parlamento desse il via libera, anche gli studenti Erasmus italiani potrebbero votare già alle Europee di maggio. Il provvedimento però non riguarda soltanto loro, ma tutti i lavoratori e gli studenti fuori sede e chi si trova temporaneamente all’estero. In tutto quasi un milione di persone, il 2 per cento del corpo elettorale. Approda lunedì a Montecitorio l’emendamento della legge elettorale presentato dal deputato di Scelta Civica Pierpaolo Vargiu per portare anche in Italia l’early vote, il voto anticipato a distanza per i cittadini in mobilità. Rincorsa invano dal 2008, tra petizioni e ddl, la norma si applica a elezioni europee, politiche e referendum e porta anche a un significativo risparmio sui finanziamenti di rientro. Un sistema già avviato in altri Paesi, tra cui Canada e Svizzera, che prevede per ogni cittadino la possibilità di “votare venti giorni prima del giorno del voto presso la Prefettura della provincia in cui intende votare, senza essere costretto a tornare nel Comune di residenza”. Tecnicamente si parla di early vote solo per i fuori sede in Italia, mentre chi si trova temporaneamente in un altro Paese, come gli studenti Erasmus, viene equiparato ai residenti all’estero attraverso la creazione di un elenco speciale. Quest’ultimo va così a integrare la legge vigente (459/2001), che già prevede all’articolo 12, comma 6 la spedizione del voto entro dieci giorni dalle elezioni.
I partiti, però, non sono compatti sull’approvazione dell’emendamento. Nonostante questo, Vargiu si dice “positivo”. Finora, spiega, il Movimento 5 Stelle si è detto a favore, così come diversi esponenti di Forza Italia e del Partito democratico. “Non possiamo continuare a votare come cento anni fa, è una questione di buonsenso – dice – specie oggi, in cui l’astensionismo è in crescita. Sono sardo, dunque anche per le ultime elezioni regionali, tanti giovani non sono riusciti a rientrare a casa per votare. Molti di loro infatti lavorano in strutture alberghiere in tutta Italia o in comunità montane. Troppo lontani per tornare”. Oltre a garantire il diritto di voto a chi non può esercitarlo per motivi “logistici”, l’emendamento consentirebbe anche di risparmiare sui finanziamenti di rientro, ovvero sulla cifra spesa per raggiungere il proprio seggio. “Questo aspetto però – conclude Vargiu – non è stato approfondito dal Ministero dell’Economia, perché questa legge elettorale è arrivata con altri caratteri di emergenza che sono stati ritenuti più importanti”.
In una nota di lettura del Senato (n.104, aprile 2011) emerge che la stima degli oneri finanziari sostenuti nel referendum del 2009 per chi era temporaneamente all’estero ammontava a 700mila euro. “Si tratta solo di una griglia – spiegano dalla segreteria di Vargiu – che ci permette di evidenziare come, in proiezione su una platea comunque più ampia e considerando le economie di scala del caso, le spese per la stampa del materiale elettorale da inviare alle prefetture, la predisposizione dei seggi nelle prefetture e le spese per la spedizione delle schede elettorali alle prefetture di destinazione e da queste alle singole sezioni siano comunque inferiori rispetto alle spese sostenute per le agevolazioni di viaggio (fino al 60 per cento se il viaggio è in treno o fino a 40 euro per elettore se si tratta di biglietto aereo, ndr)”.
Ma le casse statali quanto ci guadagnano? Secondo il Comitato Iovotofuorisede, che con una petizione online ha raccolto oltre 13mila firme, l’approvazione del provvedimento consentirebbe un risparmio di “5 milioni l’anno di rimborsi dei viaggi elettorali in maniera strutturale”. Certo è che dal 2004 al 2009 lo Stato ha speso oltre 27milioni di euro per sostenere questi costi in occasione di amministrative (escluse dall’emendamento Vargiu), politiche, Europee e referendum. Molti deputati Pd, aggiunge il presidente del Comitato Stefano La Barbera, “hanno assicurato il loro pieno appoggio alla norma e dieci di loro lo hanno anche firmato. Tuttavia il loro voto è subordinato alla decisione del gruppo parlamentare“. Per questo La Barbera ritiene che il provvedimento sia un importante banco di prova per la credibilità di Matteo Renzi. Se il presidente del Consiglio, spiega, rimanesse “ingessato dagli opposti veti politici sarebbe un grosso segnale negativo” per chi spera che il segretario Pd possa imprimere “un cambio di passo nella capacità di recezione delle istanze del paese reale da parte della politica”. Infatti, un emendamento simile del Pd – che riguardava però solo gli studenti – era stato ritirato perché fuori dall’accordo con Ncd e Forza Italia. “Se Renzi non ci sostiene- conclude La Barbera – è difficile continuare a credere che rappresenti il cambiamento. Anche perché la norma interessa soprattutto i lavoratori precari e gli studenti per i quali il presidente del Consiglio ha promesso di metterci la faccia”.
Aggiornato da Redazione Web il 10 marzo 2014 ore 12.53