Società

Droghe leggere, la teoria della ‘cannabis forte’ è l’arma dei proibizionisti

Chi segue le cronache italiane sulle droghe, conosce bene la “grande passione” del Dipartimento per le Politiche Antidroga per la cannabis e la “tombola” stagionale sulla percentuale di Thc, il celebre principio dopante della “canna”, con la quale si diletta il capo dipartimento Giovanni Serpelloni.

Come scrive Fuoriluogo, il sito dell’associazione Forum Droghe “solo 8 mesi fa (maggio 2013) per il capo del Dpa il Thc nella cannabis era al 46%, il 5 dicembre 2013 la percentuale era scesa improvvisamente al 45% (arrotondamento?) e casualmente il giorno della bocciatura della legge Fini-Giovanardi è salito incredibilmente al 55%: +9% in meno di un anno, arrotondamenti compresi”.

La teoria della “cannabis forte” è uno degli strumenti bellici più abusati dall’armata proibizionista, ma anche uno dei più confusi. Ammesso che un fondo di verità possa esserci, come si fa in Italia ad ascoltare argomenti a contrario? Essendo la cannabis illegale ed il dibattito scientifico appannaggio esclusivo delle conclusioni del Dpa (che non ammettere tesi alternative) per capirci qualcosa è necessario andare all’estero.

Le maglie larghe della legislazione olandese, allora, vengono in aiuto. Ho chiesto a Franco, la nostra guida nel video dedicato ai coffee shop che abbiamo realizzato con Lorenzo Galeazzi:

Franco, italiano, vive da quasi vent’anni ad Amsterdam; è un esperto di genetiche di cannabis ed oltre ad essere il manager della società che commercia semi per una nota catena di coffee shop, ha gestito la produzione nella prima coltivazione legale al mondo di marijuana per scopi terapeutici, nei primi anni del Duemila.

Insomma Franco, l’erba è davvero cosi forte, rispetto a 30 anni fa?

“Più “forte” lo è certamente, ma nei coffe shop la quasi totalità della merce venduta, varia tra il 7 ed il 25% con le qualità più diffuse sotto il 20%. Se parliamo di hashish poi le percentuali non superano il 15% e di media, si attestano su una percentuale inferiore al 10.”

A dare i numeri quindi, siamo ben lontani dall’altalena (al rialzo) di Serpelloni, Giovanardi & co. Però questo incremento di Thc effettivamente c’è stato e secondo molti è l’indicatore del fatto che la cannabis non è più innocua come una volta. Che viene, insomma, coltivata con l’impiego di agenti chimici.  

Ma no, la genetica non c’entra nulla – è categorico Franco – le ragioni per cui Malawi Gold, Mexican Gold e Colombian Gold, per citare delle ben note landraces degli anni ’80, avevano una percentuale di Thc tra il 5% ed il 15% è da attribuire ai metodi amatoriali di stoccaggio, essiccazione e perché no, di conservazione durante la fase di “contrabbando” di allora; in passato le qualità erano esclusivamente outdoor, coltivate quindi in ambienti esterni e nei paesi d’origine quali Marocco, Malawi o Jamaica, quindi trasportate illegalmente nei Paesi Bassi. Oggi si producono strain come White Widow, Super Lemon Haze, Skunk, Flowerbomb Kush che altro non sono se non il risultato di incroci e selezioni ottenute però indoor, all’interno di una serra. La stragrande maggioranza della marijuana venduta nei coffee shop, infatti, proviene da coltivazioni olandesi. E visto l’alto livello di professionalità raggiunto, si riesce oggi a ottenere risultati massimi, difficili o impossibili negli anni ’80. Un esempio? Basterebbe provare a coltivare genetiche landrace con tecniche di essiccazione, moderne: i risultati, anche sulle erbe di una volta sarebbero simili a quelli ottenuti oggi dagli strain.

Ma insomma la famigerata cannabis al 50% esiste oppure no?

Se è per questo, esiste anche al 70% o 80% come per l’alcol esistono whiskey e distillati. Prendi infatti le estrazioni, come l’Isolator, resina pura estratta con l’acqua che può arrivare al 40% oppure il Bho, resina estratta con gas butano, che può raggiungere anche l’80%. Ma il punto non è quanto forte sia ma l’uso consapevole che se ne fa. L’alcol non è solo birra ma anche grappa e per quanto la prima sia più leggera di alcol, quindi anche di birra, si può morire. Di cannabis no. Non esiste, a livello scientifico, la dosa letale per la marijuana.

Quindi la percentuale di Thc, dici, è irrilevante?

Se la cannabis è più forte se ne fuma meno per ottenere lo stesso effetto. Mi pare più logico rispetto a fare distinzioni basate sulla presunta pericolosità, soprattutto perché il Thc non è il solo agente dopante della cannabis ma solo il più celebre.

Il Thc non è il solo responsabile dell'”effetto”?

No, assolutamente. Quando si parla di Thc ci si dimentica sempre che ci sono centinaia di cannabinoidi nella resina, ed è la sinergia tra tutti che crea l’effetto medicinale e ricreativo della cannabis. Fissarsi sul Thc è come dire che il sistema solare è il centro dell’universo. Altro cannabinoide molto di moda e ricercato oggi è il Cbd (Cannabidiolo, agisce sui muscoli, non sballa, rilassa il fisico). Molto usato in terapia per sclerosi multipla, tremori, spasmi, artrite, reumatismi. Poi c’è il Cbg che agisce sulla pressione sanguigna, e aiuta molto per il glaucoma. Ed infine il Cbn, che fa da antagonista e bilancia il Thc. Se non ci fosse il Cbn l’effetto del Thc sarebbe molto più stimolante, iperattivo, quasi paranoico. Invece il Cbn rende il Thc piacevole. Proprio la relazione tra Thc e Cbn crea una buona parte dell’infinita gamma di sfumature che si sentono fumando una varietà piuttosto che un’altra.”