Mentre due storici parlano di fallimento dell’euro e dell’Europa, la Bce lascia invariata la politica monetaria. Il problema non è la sottovalutazione della crisi da parte di Draghi, ma che la Bce sia lasciata sola nell’affrontarla.  
di  (Fonte: Lavoce.info

Due pareri illustri E poco incoraggianti…

Due storici, Kevin O’Rourke dell’Università di Oxford e Niall Ferguson, dell’Università di Harvard, si sono espressi recentemente in modo molto scettico sul futuro dell’euro e dell’Unione Europea.
Il primo, in un suo recente saggio, afferma che l’Europa è ormai solo un insieme di vincoli imposti ai governi e che ha perso la sua funzione originaria, quella di migliorare la vita dei cittadini europei. A suo avviso o si arriverà a una – al momento improbabile – unione politica (e quindi anche con la capacità di fare trasferimenti fiscali al suo interno) oppure occorre considerare la durissima alternativa di abbandonare l’euroNiall Ferguson è più drastico e giudica che non solo l’unione monetaria ma l’intera costruzione europea è stato un fiasco. Un fallimento economico, considerando non solo le conseguenze della profonda crisi degli ultimi anni, ma anche la bassa crescita e un tasso di disoccupazione consistentemente più elevato di quello degli Stati Uniti e politico, con il crescente risentimento dei cittadini verso le istituzioni europee.

La minaccia della deflazione

Queste critiche, così drastiche, dovrebbero implicare quanto meno un senso di urgenza nel provare a dare delle risposte. La deflazione, parola terribile alla luce dell’esperienza giapponese degli anni ’90, sembra rappresentare una minaccia per alcuni Paesi europei. Invece, almeno osservando le azioni della Bce, questa esigenza di risposte tempestive sembra non essere presente. Nella sua conferenza stampail Presidente Draghi ha spiegato la decisione di lasciare tutto inalterato rispetto al mese scorso, alla luce di alcuni elementi. In primo luogo, ha osservato che la riduzione dell’inflazione è in larga parte dovuta a una riduzione del prezzo dell’energia e che il numero di beni per i quali si è effettivamente osservata una riduzione di prezzo è limitato. In secondo luogo, ha fatto notare che le previsioni vedono un tasso d’inflazione pari all’1,6 per cento, e quindi non troppo distante dal target del 2 per cento, nel 2016 (anche se Draghi ha sottolineato più volte la relativa attendibilità di tali stime). In terzo luogo, Draghi ha continuato a evidenziare le differenze con il caso giapponese: una risposta più rapida delle autorità monetarie, aspettative di inflazione non disancorate e bilanci più solidi delle banche (anticipando forse gli esiti della Asset Quality Review e degli stress test delle prossime settimane).

La Bce da sola non basta

Sarebbe sbagliato concludere che Draghi abbia sottovalutato i problemi europei: ha riconosciuto la scarsa utilizzazione della capacità produttiva in molti Paesi dicendo in modo chiaro che c’è un problema di domanda aggregata, ha confermato che la politica monetaria sarà accomodante per un periodo di tempo prolungato e si è detto pronto ad usare tutti gli strumenti a sua disposizione, pur rimanendo vago su quali di esso la Bce pensi di usare in caso di peggioramento della crisi. D’altra parte, se il problema è la domanda aggregata, la Banca Centrale avrebbe bisogno di essere supportata dalla politica fiscale , cosa al momento impossibile in molti Paesi anche a causa dei vincoli europei.

È probabile che l’euro esista ancora solo grazie alla dichiarazione di Draghi del luglio 2012, quella del “whatever it takes”. Ed è anche un’anomalia che in gran parte dell’Europa l’unico canale di accesso al credito per le imprese siano le banche, visto il ridotto ruolo dei mercato azionario e di quello dei bond. Tutto considerato, però, si fa fatica a negare che le risposte della Bce e dei governi sembrino deboli o, quanto meno, eccessivamente prudenti.
In questo contesto, è fin troppo facile prevedere che le elezioni di maggio vedranno un’affermazione dei movimenti anti euro e anti Europa . Ma, paradossalmente, i politici europeisti non se ne preoccupano, perché tanto il Parlamento Europeo non conta nulla! A pensarci bene, il vero miracolo è l’ancora elevato consenso che l’Europa e l’euro hanno tra i cittadini. Ma è difficile che tale supporto continui se l’Europa continuerà a essere vista come un ostacolo per la risoluzione della crisi e non un invece come uno strumento mitigarne gli effetti su chi ne è più colpito. Il tempo per evitare le disaffezione verso l’euro e l’Europa è quasi finito e tra poco i due storici euroscettici si vedranno dare ragione dagli eventi. Continuare a lasciare alle sole spalle, pur robuste, di Draghi tutto il peso della risposta alla crisi europea non è un’opzione realistica. E il vuoto politico spesso genera mostri.

 

Bio dell’autore – Fausto Panunzi

Ha conseguito il PhD presso il Massachusetts Institute of Technology. Attualmente insegna Economia Politica presso l’Università Bocconi. In precedenza ha insegnato presso l’Università di Bologna, l’Università di Pavia, Lecturer all´University College London, Research Fellow presso IDEI (Toulouse ) e IGIER. Le sue aree di interesse scientifico sono la Teoria dell’impresa, finanza d’impresa e Teoria dei contratti.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Scuola, sviluppo, banda larga: “L’Europa ce lo chiede”. E l’Italia fa finta di niente

next
Articolo Successivo

Deficit, l’insostenibile ipocrisia della Bce

next