Schiavi è il titolo del nuovo film inchiesta di Stefano Mencherini, recentemente presentato al Parlamento europeo di Bruxelles. Un viaggio alla scoperta della gestione truffaldina dell’emergenza immigrazione, lo sfruttamento del lavoro, una burocrazia senza senso e un’Europa totalmente inospitale. Un documentario per provare a capire cosa significhi, oggi, essere un immigrato in Italia.
Anche Yvan Sagnet ne rappresenta un’eccezionale testimonianza. Il suo nome riporta alla mente la rivolta di braccianti che nell’estate del 2011 si ribellarono ai caporali a Nardò, innescando un’indagine che si concluse con l’arresto di ben sedici persone. Nato nell’aprile del 1985 a Douala, in Camerun, si era innamorato del Bel Paese guardando i mondiali di calcio di Italia ’90, iniziando poi a studiare la lingua, la cultura e la storia di quel luogo che un giorno avrebbe voluto raggiungere.
“Mi sono trasferito nel 2008 vincendo una borsa di studio al Politecnico di Torino – spiega Yvan dopo la proiezione del film – dove ho anche trovato un lavoretto in un super mercato per arrotondare un po’. Ma dopo tre anni ho perso la borsa e non sono riuscito a trovare nessun lavoro stagionale in città. Tramite un amico sono venuto a sapere che in estate in Puglia c’è una forte richiesta di manodopera per la raccolta di frutta e verdura, e quindi sono partito a fare il bracciante in un campo di pomodori a Nardò, in provincia di Lecce. Lì ho scoperto un’Italia che non pensavo esistesse. Nella masseria di Boncuri eravamo oltre cinquecento persone, per lo più Africani, e la nostra vita era interamente gestita dai caporali, che con scuse di vario genere ti ritirano i documenti sin dal primo giorno e poi sfruttano il tuo lavoro con ricatti e paghe da fame. Alla masseria c’erano circa duecentocinquanta tende, quindi la maggioranza era costretta a dormire per terra, o al massimo su un materasso pagato cinque euro e puntualmente rubato il giorno seguente”.
“La mattina ci alzavamo all’alba – prosegue Yvan – ed eravamo obbligati ad aspettare che i furgoncini del caporali venissero a prenderci per portarci al campo di lavoro. Un viaggio che ci veniva a costare cinque euro e che non eravamo autorizzati a fare a piedi. Eravamo pagati a cottimo: 3,50 euro per ogni cassone da un quintale di pomodori, e in una giornata di lavoro da circa quindici ore ti potevi anche ritrovare con una paga da meno di venti euro. Essendo zone di campagna isolate, senza negozi né bar nelle vicinanze, eravamo anche costretti a comprare cibo e bevande dai caporali: 3,50 euro per un panino e 1,50 per una bottiglia d’acqua. Lavoravamo a ritmi massacranti, sotto il sole e i quaranta gradi di temperatura delle campagne salentine, ma se ti capitava di sentirti male eri anche costretto a pagarti dieci euro per il trasporto fino al pronto soccorso. In tre giorni di lavoro non ho mai visto un controllo, anche perché i caporali venivano avvisati in anticipo quando dovevano venire gli ispettori di lavoro, così gli irregolari rimanevano alla masseria e tutto sembrava normale”.
Dopo quei tre giorni d’inferno Yvan Sagnet ha quindi deciso di ribellarsi e con lui gli oltre cinquecento migranti che lavoravano in quel campo di pomodori di Nardò, e dopo un’indagine, un processo e l’arresto di sedici persone, oggi esiste una legge sul reato di caporalato.
“Adesso sono sindacalista della Flai Cgil – afferma Yvan – e ogni giorno scopro situazioni simili a quella che ho vissuto di persona. Prima i pomodori in Puglia, dopo gli agrumi della Sicilia e poi le mele del Trentino, ma la situazione è più o meno la stessa. La politica deve intervenire ed è assolutamente necessario un sistema di collocamento pubblico efficiente, che davvero si sostituisca all’attuale reclutamento dei caporali e che faccia conoscere a questi lavoratori i loro diritti, in termini di condizioni di lavoro, contratti e contributi previdenziali. Inoltre, è fondamentale che venga creata una forma di certificazione d’impresa controllata, che impedisca la vendita di prodotti ricavati dallo sfruttamento del lavoro, e che permetterebbe anche di tenere sotto controllo l’evasione fiscale legata al lavoro nero”.
Yvan Sagnet è anche il promotore della campagna di boicottaggio nei confronti di grandi catene come Auchan, Lidl, Carrefour e anche Coop, che hanno sui loro scaffali prodotti non ottenuti nel rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, come invece affermano i loro codici etici.
A tal proposito Fabio Mostaccio, scrittore de La guerra delle arance, sostiene: “Essendomi occupato dei famosi fatti di Rosarno, culminati con uno scontro tra braccianti stagionali e la popolazione locale, posso dire che il problema dello sfruttamento si può tradurre con la semplice domanda: chi sfrutta chi? Perché i braccianti sono l’ultimo anello di una catena, vittime di un costo del lavoro imposto dai prezzi dettati dalla grande distribuzione, dove le aziende agricole sono in qualche modo costrette a risparmiare sulla manodopera per sopravvivere in questo assurdo mercato. E con ciò non voglio giustificare nessuno, ma solo far capire che il problema è complesso e sta a monte”.