Evviva evviva, la parità di genere scoperchia le parti meno nobili e più fragili del retrobottega maschile, il battutismo fuori sincrono da bar sport, l’idea che perdere qualche porzioncina di potere in favore delle donne sia da considerare un attentato in piena regola. Poveri maschi, soprattutto i destri impenitenti, ché i sinistri – almeno – si giocano il politicamente corretto nelle occasioni in cui quel minimo di equilibrio sociale andrà esibito. Siamo alle comiche, e neppure finali, se il presidente della Commissione Affari Costituzionali, il forzista Francesco Paolo Sisto, oppone a una minima ragionevolezza quella formuletta evergreen che si esibisce nelle occasioni in cui la soglia della decenza è stata ampiamente superata: «Rischi di incostituzionalità».

Ma gentile presidente Sisto e come lei tutti i signori maschi che non lavano piatti da lustri, quale rischio di incostituzionalità pensate ci possa essere in una organizzazione sociale che riconosce a tutti gli umani, «maschi, femmine e cantanti», racconterebbe De Andrè, di concorrere alle opportunità della vita nelle medesime condizioni?

E non sarebbe neanche onesto ripararsi sotto l’ombrello sbrindellato del buon Gasparri – per l’occasione ribattezzato «L’uomo che cadde sulla Terra» – al quale, per difendere l’avamposto in cui chi porta i pantaloni non è più neppure lui, tocca resuscitare la lezioncina della discriminazione occasionale, quella in cui il destino ha selezionato (in)felicemente la specie, per cui imbattersi in città, come ci dice l’impareggiabile Maurizio, «dove non ci sono donne intelligenti e quindi essere obbligati a sceglierle lo stesso, quando invece ci sarebbero uomini molto più validi». Ma che sfiga, eh?

Da fuori, debbono guardarci con un certo sospetto, e francamente ha già il sapore di una mezza sconfitta il sottolineare che laddove sono aumentati gli ingressi delle donne nei circuiti professionali, si sono poi registrati valori più equilibrati, performance più incisive, insomma un reale e concreto miglioramento aziendale.

Ma sarebbe anche riduttivo considerare il palazzo del Potere alla stregua di un semplice consiglio di amministrazione, dove si aggiunge e si toglie con un ordine del giorno votato per alzata di mano. Questo è il Parlamento e merita un momento in più di approfondimento, esaurito il quale però, andrà fatta la domanda delle domande: è questo il luogo del potere Maschile, lo è sempre stato, vuole continuare a esserlo?

Se per i primi due interrogativi la risposta è persino scontata ed è un impressionante SI’, sull’ultimo sembra arrivato (finalmente) il momento dello scontro. Mai come in questo momento l’uomo prova vergogna di sé nella stolida difesa dell’appannaggio patriarcale, non tanto per una convinzione acquisita, che chissà quando arriverà, quanto invece per quella mutazione socio-genetica che gli ha cambiato nel corso del tempo i rapporti di forza con la controparte femminile.

È su questa condizione sociale mutata (soprattutto all’“esterno”, visto che al riparo delle mura domestiche le dinamiche spesso rimangono tragiche) che le donne si giocano la vera partita. Il dramma è che non possono fidare sugli uomini e questo è il dato più scoraggiante. Mentre la sinistra machista, che pure in Parlamento c’è, trova con più fatica un sentimento identificativo, dovendosi nascondere sotto il peso della storia e di storie che ne hanno sempre connotato una certa cosiddetta superiorità morale, la destra può correre liberamente nella prateria berlusconiana, che offre spunti plurimi per resistere all’assalto delle molto antipatiche “quote rosa”.

Il risultato è una strettoia particolarmente difficile da percorrere che altri Paesi, decisamente molto più democratici del nostro, hanno risolto alla radice con un atto sommamente antidemocratico: l’imposizione per legge di alte percentuali femminili. Del resto, con quei “gnucconi” dei maschi non c’è altro modo per farsi intendere.

Ps. Tra molti anni, i nostri figli vivranno di quella normalità che oggi ci appare come una chimera: maschi, femmine e cantanti, tutti eguali di fronte alla legge (elettorale).

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