Chissà se le deputate che ieri in Parlamento hanno protestato trasversalmente per difendere le quote rosa, faranno mai una protesta bipartisan per difendere la 194 e il diritto alla salute delle donne.
Chissà se avranno letto la storia di Valentina, pubblicata oggi su Repubblica, e avranno saputo del suo calvario in ospedale. Valentina ha pagato, come tante donne, il prezzo dell’iniquità ideologica della legge 40 che vieta la fecondazione assistita a coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche (e vieta anche la diagnosi pre-impianto del feto); ed ha pagato anche il prezzo della selvaggia obiezione di coscienza alla 194. Prevista dalla legge sull’aborto, l’obiezione di coscienza va rispettata quanto il diritto delle donne di abortire in situazioni di sicurezza. Lo prevede l’articolo 9 della legge 194 che prescrive che tutti gli ospedali italiani siano tenuti ad erogare il servizio, anche se la norma non venne mai applicata pienamente fin dall’approvazione della legge.
La storia che ha raccontato Valentina è questa: è portatrice di una malattia genetica, e nel 2010 resta incinta. Dopo aver saputo delle gravi malformazioni al feto, sceglie di abortire al quinto mese di gravidanza. Dopo l’intervento comincia il parto del feto morto ma è avvenuto un cambio di turno, e i medici sono tutti obiettori. Viene lasciata senza assistenza. Il travaglio dura 15 ore e avviene in un bagno, tra dolori atroci, conati di vomito e svenimenti. Insieme a lei solo il marito. Durante il ricovero entrano anche attivisti pro-life ben equipaggiati di Vangelo e fanatismo ma privi di alcuna umanità, rispetto, intelligenza, che calpestano la vita di persone che non hanno richiesto la loro presenza.
Proprio qualche giorno fa, l’Europa ha condannato l’Italia perché l’elevato numero di obiettori sta rendendo inapplicabile la legge 194, e sta negando l’assistenza sanitaria a molte donne, ma il ministero della Salute ha già fatto orecchie da mercante e interpretando in maniera superficiale i dati, in una nota ufficiale ha già spiegato che il carico di lavoro per i ginecologi non obiettori si è dimezzato, passando dal dato di 3,3 aborti a settimana a quello di 1,7. Il problema non sussiste. Tutto bene, dunque?
La Laiga è di parere contrario. L’effetto del calo gli aborti sarebbe proprio l’aumento dei medici obiettori. Ovvero la minore capacità di accogliere le richieste delle donne porta una diminuzione degli aborti. La verifica dei dati sarebbe presto fatta con il monitoraggio delle richieste di ivg, ma anche valutando il fenomeno del pendolarismo delle donne che si spostano da regione in regione o dall’Italia all’estero per abortire; mentre un altro elemento da prendere in considerazione potrebbe essere la verifica del numero di “aborti spontanei” nelle cliniche private.
Le più colpite dall’obiezione selvaggia sono proprio le donne che decidono di interrompere la gravidanza a causa di malformazioni del feto. Hanno quasi sempre poco tempo a disposizione per le scadenze che la legge impone, e fanno le pendolari da una struttura sanitaria all’altra prima di trovare un ospedale dove sottoporsi all’intervento. Gli aborti terapeutici non possono essere eseguiti da medici esterni con incarichi a gettone, come accade con l’aborto volontario, ma devono essere effettuati in sale operatorie e gli ospedali disponibili sono sempre meno. Quando vengono eseguiti, sono molte le donne lasciate senza assistenza dopo l’intervento a causa di una interpretazione errata della legge. L’obiezione infatti non è prevista per la fase preparatoria e successiva all’aborto. Quindi la mancata assistenza è omissione di soccorso, un reato.
Testimoni dell’ennesima iniquità e violazione dei diritti delle donne, attendiamo una protesta trasversale delle parlamentari, in difesa della 194, della salute e della dignità delle cittadine, ce ne basterebbero anche solo tre e senza bisogno che siano biancovestite.
@nadiesdaa