Un po’ di tempo fa mi è capitato di vedere, in Dvd, una fiction televisiva. “C’era una volta la città dei matti”, di Marco Turco, andata in onda nel febbraio del 2010. E mi sono stupito. Perché è raro vedere un prodotto televisivo di così grande qualità, dove l’accuratezza della ricostruzione si abbina con il ritmo, la tensione narrativa ed emotiva e le necessità dell’intreccio non soffocano lo sfondo culturale e sociale, con uno straordinario Fabrizio Gifuni nelle vesti di Franco Basaglia e con una bellissima colonna sonora di Mauro Pagani. Quando capitano questi piccoli miracoli, quando cioè la televisione si fa veicolo di contenuti importanti (capitò, qualche anno fa, con La meglio gioventù, che tra l’altro toccava anche il tema dei manicomi), c’è da esser contenti. Anche se, a vedere quel film, a ripercorrere le tappe della vita di Basaglia – nato esattamente 90 anni fa, l’11 marzo del 1924 – viene da chiedersi dove sia finita l’Italia capace di grandi riforme, capace di ascoltare le istanze che arrivano dalla società per trasformarle in leggi. Gli anni ’70, quelli che per troppo tempo sono stati “archiviati” come anni bui (certo lo furono per molti aspetti), sono stati anche gli anni della legge Basaglia, appunto, della legge sul divorzio, di quella sull’aborto, della riforma del diritto di famiglia e dello statuto dei lavoratori.
Viene da chiedersi che fine abbia fatto quell’Italia, che fine abbia fatto quella politica, capace, tra mille resistenze certo, di porsi in ascolto di un innovatore irriguardoso e libertario come Basaglia. Viene da chiedersi come mai uno come lui, la cui idea di psichiatria è ancora oggi un modello in tutto il mondo, non venga maggiormente ricordato e celebrato, come meriterebbe. “C’era una volta la città dei matti” è stato tradotto in francese, inglese, turco, parsi e serbo e persino in giapponese, grazie all’interesse di associazioni o familiari che si occupano di malattia mentale e che vedono nell’esperienza basagliana un modello da imitare. Recentemente Peppe Dell’Acqua, considerato l’erede di Basaglia, uno degli “artefici” del film, lo ha portato “in tour” in Giappone, paese in cui è ancora in vigore una dimensione manicomiale simile a quella dell’Italia pre-riforma.
Dell’Acqua ha vinto recentemente il Premio Nonino e anche in quell’occasione ha voluto ribadire che la vicenda di Basaglia non appartiene al nostro passato, ma si fa ogni giorno presente, con l’impegno di tantissime persone, che cercano di fare della Basaglia una legge applicata per intero, nell’indifferenza – quando non nell’ostilità – della politica di oggi: “Questo premio deve servire a dire: bisogna ricominciare, c’è una seconda Rivoluzione da fare, che è quella di portare i servizi, l’ascolto vicino alle persone. Esserci. Costruire vicinanza, partecipazione, risposte concrete. Siamo riusciti a fare cose che non riuscivamo nemmeno a pensare e che oggi sono realtà a Trieste, in tutta la nostra regione, in tanti luoghi nel nostro paese. Oggi migliaia di studenti, ricercatori, amministratori vengono a Trieste per studiare quanto è accaduto e trarne ispirazione. Abbiamo bisogno di radicare questo sapere e queste pratiche, costruire archivi, progettare percorsi di formazione, di offrire conoscenza critica e cercare di offrire ai giovani qualcosa di diverso di una formazione accademica troppo spesso grigia e assolutamente insoddisfacente. Per quanto mi riguarda e con tutti i miei limiti farò di tutto perché questo premio possa servire ad alimentare conoscenza, a produrla e a ricercarla con i giovani che si avvicinano a questo mestiere con una commovente luce negli occhi e rischiano, per le situazioni che trovano, di perdere l’entusiasmo, la curiosità e la voglia di essere nelle cose”.