Mens sana in corpore sano. Si apre con una buona notizia la settimana mondiale dedicata a quella che molti scienziati considerano la materia più complessa dell’universo, il cervello umano. I ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) hanno dimostrato per la prima volta, in uno studio pubblicato sulla rivista Stem Cells, che la corsa è in grado di bloccare il processo di invecchiamento cerebrale e stimolare la produzione di nuove cellule staminali che migliorano le capacità mnemoniche. “Questa ricerca scardina un dogma della neurobiologia – spiega Stefano Farioli-Vecchioli dell’Ibcn-Cnr, coordinatore dello studio -. Finora si pensava infatti che il declino della neurogenesi durante l’età adulta, con la perdita di cellule staminali neuronali, fosse un processo irreversibile”.
Proprio la memoria è il tema al centro dell’annuale edizione della settimana del cervello. Un’edizione ancora più significativa quest’anno, perché il 2014 è stato proclamato dal Parlamento europeo “Anno europeo del cervello”. Secondo i dati emersi da “Brai.Ns”, meeting internazionale dedicato alla ricerca sulle malattie cerebrali che si è svolto nelle scorse settimane a Barcellona nell’ambito dell’Anno europeo, nel Vecchio continente sono 164 milioni gli individui colpiti da patologie neurologiche, il 38,2% della popolazione, di cui 17 milioni gli italiani. Inoltre, l‘impatto economico delle malattie del cervello in Europa è pari a 798 miliardi di euro l’anno, all’incirca il 40% dei quali è legato a costi indiretti che pesano sulle famiglie.
Promossa in Italia dalla Società italiana di neurologia (Sin) e coordinata da numerose società scientifiche internazionali, come la European Dana Alliance for the Brain e la Society for Neuroscience, la settimana mondiale del cervello ha come obiettivo la diffusione della conoscenza nell’ambito delle neuroscienze, attraverso una serie di incontri divulgativi, convegni scientifici, attività per le scuole elementari e medie e visite guidate a reparti e laboratori ospedalieri sparsi su tutto il territorio nazionale (ecco gli appuntamenti). “Oggi sappiamo che i disturbi della memoria rappresentano un sintomo sempre più comune che colpisce circa il 7% della popolazione con più di 65 anni, fino a raggiungere il 30% degli individui con età superiore a 80 anni – sottolinea Aldo Quattrone, presidente della Sin -. I disturbi della memoria, purtroppo, non sono caratteristici solo del morbo di Alzheimer, che insieme alla demenza senile solo in Italia colpisce 1 milione e 200 mila persone, ma possono essere presenti in molte malattie neurologiche. Studi recenti – spiega Quattrone – hanno ad esempio dimostrato l’esistenza di disturbi cognitivi, inclusi quelli di memorizzazione, anche in pazienti con Parkinson”.
Gli scienziati del Cnr nel loro studio sono riusciti a dimostrare che sono proprio le capacità di memorizzazione a essere potenziate dall’esercizio fisico. “Lavorando su topi con deficit neuronali e comportamentali causati dalla mancanza del gene Btg1, che rappresenta un freno alla proliferazione delle cellule staminali – afferma Farioli-Vecchioli -, abbiamo constatato che nel cervello adulto un esercizio fisico aerobico come la corsa blocca il processo di invecchiamento e stimola una massiccia produzione di nuove cellule staminali nervose nell’ippocampo, aumentando le prestazioni mnemoniche. In sostanza, la neurogenesi deficitaria riparte quando, all’assenza di questo gene, si abbina un’attività fisica che, non solo inverte totalmente il processo di perdita di staminali, ma scatena un’iper-proliferazione cellulare con un effetto duraturo”.
Lo studio italiano, realizzato in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, apre nuovi scenari nell’ambito della medicina rigenerativa del sistema nervoso centrale. “La scoperta pone le basi per ulteriori ricerche mirate ad aumentare la proliferazione delle staminali adulte nell’ippocampo e nella zona sub ventricolare. I risultati – sottolinea Farioli-Vecchioli – avranno delle implicazioni molto importanti per la prevenzione dell’invecchiamento e della perdita di memorie ippocampo-dipendenti. Per quanto riguarda le patologie neurodegenerative, le potenzialità terapeutiche di queste cellule sono davvero ampie, anche se a breve termine non possono scaturire terapie mirate. Il prossimo passo – conclude Farioli-Vecchioli – sarà confermare la scoperta su altri modelli di topi con malattie come l’Alzheimer, il Parkinson o nei quali un evento ischemico abbia provocato un elevata mortalità neuronale, isolando e trapiantando le cellule staminali iper-attivate”.