Le tasse calano in Europa, ma aumentano in Italia. L’istantanea è scattata dall’Istat che ha monitorato la pressione fiscale tra il 2000 e il 2012 nei 27 Paesi dell’Unione europea. All’interno del Vecchio Continente viene registrato complessivamente un calo di 0,5 punti percentuali, mentre in Italia viene immortalata un’impennata di quasi tre punti, l’incremento più elevato se si escludono i casi di Malta e Cipro. Nel dettaglio la pressione fiscale nel nostro Paese era pari nel 2013 al 43,8% del Pil.
L’andamento nel tempo – spiega il presidente dell’Istat in audizione al Senato, Antonio Golini – mostra come la pressione fiscale in Italia abbia registrato una diminuzione dal 2001 fino al 2005 (ad eccezione del 2003) per poi riprendere ad aumentare fino al 43,0% nel 2009; dopo una flessione nel biennio 2010-2011, nel 2012 è risalita al 44% del Pil.
Il punto minimo nell’arco dell’ultimo decennio è stato raggiunto nel 2005 (40,1% del Pil) mentre gli aumenti più pronunciati risalgono al 2006-2007 e al 2012. Negli anni 2006 e 2007 le voci di entrate che compongono la pressione fiscale sono aumentate dell’8,1 e del 6,7%, a fronte di una crescita del Pil in termini nominali attorno al 4 per cento. Nel 2012, poi, la crescita delle entrate del 2,7% ha coinciso con una caduta del Pil dello 0,8 per cento.
Sempre l’Istituto nazionale di statistica ha riportato che nel 2012 il valore medio del cuneo fiscale e retributivo per i lavoratori dipendenti è stato pari al 49,1% del costo del lavoro. Cioè i lavoratori hanno ricevuto in media 16.153 euro l’anno, contro un costo complessivo del lavoro di 31.719 euro.
L’Istat ha segnalato infine che nel 2012 il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 4,7 per cento. Una caduta “di intensità eccezionale” prodotta dall’aumento del prelievo fiscale (Imu, contributi sociali, ecc) che ha “notevolmente contribuito alla forte contrazione del reddito”.