Ecco che ci risiamo; nessun governo fa eccezione; quando si parla di spending review si finisce quasi sempre per atterrare sulle pensioni e mai sulle evidenti disparità di efficienza della nostra pubblica amministrazione con quelle delle altre nazioni europee, che la Comunità Europea ci segnala quasi quotidianamente; l’ultima volta ha indicato esplicitamente che “Le inefficienze di vecchia data nella pubblica amministrazione e nel sistema giudiziario, la debole governance aziendale, e l’alto livello di corruzione ed evasione fiscale, riducono l’efficienza dell’economia”.
Questa volta il Governo del “cambiamento” sembra avere nel mirino le pensioni di reversibilità e questo non è strano, dato che Renzi già nel suo intervento a Servizio Pubblico del 7 novembre 2013 aveva espresso l’intenzione di tagliare le reversibilità, a cominciare da quella di sua nonna. Nel solco del tradizionale approccio politico approssimativo e pauperista che i nostri governanti indistintamente mostrano, sembra che la discriminante per le riduzioni degli assegni di reversibilità potrebbe essere, come si usa nelle nazioni nelle quali la ricchezza è vista come una colpa da punire, il reddito del superstite e non il montante contributivo che ha generato la pensione del defunto coniuge; questo confermerebbe una volta di più che nella mentalità distorta dei nostri governi, l’ente pensionistico pubblico non dovrebbe chiamarsi Inps: Istituto Nazionale Previdenza Sociale, bensì Inps: Istituto Non Previdenziale Sicuramente.
Così come già fatto per le pensioni più elevate, l’approccio sarebbe quantitativo: se il coniuge sopravvissuto ha un reddito palese sufficientemente elevato secondo i criteri del ministro del lavoro di turno, si provvede alla decurtazione; questo approccio, oltre a ispirarsi a un criterio distributivo assolutamente improprio, anzi, aberrante, nell’ambito previdenziale, porta con sé due macroscopici errori di fondo.
Il primo è inerente, come sempre, alla accertabilità dei redditi; con l’approccio “anti-ricchezza” si può star certi che verranno colpite quelle vedove (solitamente muore prima l’uomo) colpevoli di avere una pensione media o un reddito da lavoro dipendente totalmente tassato alla fonte o una seconda casa, mentre sorrideranno le sopravvissute di evasori fiscali con magari capitali imboscati all’estero. Il secondo punto che sfugge costantemente al legislatore approssimativo e vorace è la continuità del reddito. Infatti è assai possibile che una famiglia abbia pianificato le proprie spese basandosi sul reddito corrente e illudendosi che l’ente previdenziale fosse obbligato a restituire tutte le risorse che gli sono state prestate; potrebbe essere che la sopravvissuta abbia uno o più mutui in essere stipulati basandosi sulla capacità reddituale della famiglia, che sia impegnata ancora nel far studiare i figli, che abbia un anziano a carico; ovviamente questi particolari, tutt’altro che irrilevanti, sfuggono non solo al legislatore superficiale, ma anche alla possibilità di verifica di chi deve attuare le norme; più semplice arrogarsi il diritto di tagliare senza curarsi di sapere.
Come sempre, ci sarebbe un modo incontrovertibile di evitare queste possibili e assurde distorsioni ed è quello di trattare le pensioni come dovrebbero e cioè come una previdenza reale: tanto hai accantonato, tanto riceverai. Non è particolarmente difficile e anche un politico potrebbe comprendere il meccanismo se qualcuno glielo spiegasse lentamente; anzi, basterebbe che il politico di turno si facesse illustrare dettagliatamente il funzionamento dei fondi previdenziali assicurativi che hanno un funzionamento elementare: alla cessazione dell’attività lavorativa e dei versamenti al fondo, l’assicurato può decidere se optare per una liquidazione istantanea di tutto il montante contrattuale oppure se accedere a un vitalizio calcolato sulla base dell’ammontare versato e dell’aspettativa di vita; nel secondo caso ci sono opzioni che prevedono il termine delle erogazioni vitalizie al decesso (assegno più elevato) oppure la continuazione in forma ridotta agli eredi (assegno più basso). Tutto questo richiede che sia noto incontrovertibilmente l’ammontare dei contributi versati e a meno che Inps significhi: Incertezza Nei Propri Sistemi, questo dovrebbe essere dato per scontato.
Con un meccanismo non ideologico, razionale e sensato, si potrebbe avere un approccio qualitativo (che sarebbe stato e sarebbe raccomandabile in ogni occasione nella quale si mette mano ai trattamenti pensionistici): si interviene sulla base di contributi versati, garantendo a ciascuno, pensionato o sopravvissuto, che l’assegno sia congruente con gli accantonamenti e che garantisca così una certa continuità del tenore di vita tra l’attività lavorativa e la vecchiaia.
Per tornare alla nonna di Renzi, se il suo assegno di reversibilità è equamente commisurato ai contributi versati dal coniuge defunto e alla durata statisticamente presunta della sua erogazione, suo nipote Matteo dovrebbe lasciarla in pace e che faccia delle risorse che l’Inps deve restituirle l’uso che crede, se invece l’assegno è previdenzialmente sproporzionato lo si riveda, ma così anche tutti quelli in analoghe condizioni, siano essi di reversibilità o meno; sempre, ovviamente, fatti salvi quelli minimi di natura puramente assistenziale, la cui gestione non sarebbe male togliere all’Inps affinché si metta finalmente a fare pura previdenza.
Ma non c’è da farsi illusioni, ci sono troppi interessi e resistenze che impediscono una valutazione squisitamente previdenziale; meglio il solito prelievo al bancomat delle pensioni con più contributi. Senza neppure dover digitare il pin.
Michele Carugi
Ingegnere
Economia & Lobby - 11 Marzo 2014
Le pensioni sono di nuovo il bancomat della spending review
Ecco che ci risiamo; nessun governo fa eccezione; quando si parla di spending review si finisce quasi sempre per atterrare sulle pensioni e mai sulle evidenti disparità di efficienza della nostra pubblica amministrazione con quelle delle altre nazioni europee, che la Comunità Europea ci segnala quasi quotidianamente; l’ultima volta ha indicato esplicitamente che “Le inefficienze di vecchia data nella pubblica amministrazione e nel sistema giudiziario, la debole governance aziendale, e l’alto livello di corruzione ed evasione fiscale, riducono l’efficienza dell’economia”.
Questa volta il Governo del “cambiamento” sembra avere nel mirino le pensioni di reversibilità e questo non è strano, dato che Renzi già nel suo intervento a Servizio Pubblico del 7 novembre 2013 aveva espresso l’intenzione di tagliare le reversibilità, a cominciare da quella di sua nonna. Nel solco del tradizionale approccio politico approssimativo e pauperista che i nostri governanti indistintamente mostrano, sembra che la discriminante per le riduzioni degli assegni di reversibilità potrebbe essere, come si usa nelle nazioni nelle quali la ricchezza è vista come una colpa da punire, il reddito del superstite e non il montante contributivo che ha generato la pensione del defunto coniuge; questo confermerebbe una volta di più che nella mentalità distorta dei nostri governi, l’ente pensionistico pubblico non dovrebbe chiamarsi Inps: Istituto Nazionale Previdenza Sociale, bensì Inps: Istituto Non Previdenziale Sicuramente.
Così come già fatto per le pensioni più elevate, l’approccio sarebbe quantitativo: se il coniuge sopravvissuto ha un reddito palese sufficientemente elevato secondo i criteri del ministro del lavoro di turno, si provvede alla decurtazione; questo approccio, oltre a ispirarsi a un criterio distributivo assolutamente improprio, anzi, aberrante, nell’ambito previdenziale, porta con sé due macroscopici errori di fondo.
Il primo è inerente, come sempre, alla accertabilità dei redditi; con l’approccio “anti-ricchezza” si può star certi che verranno colpite quelle vedove (solitamente muore prima l’uomo) colpevoli di avere una pensione media o un reddito da lavoro dipendente totalmente tassato alla fonte o una seconda casa, mentre sorrideranno le sopravvissute di evasori fiscali con magari capitali imboscati all’estero. Il secondo punto che sfugge costantemente al legislatore approssimativo e vorace è la continuità del reddito. Infatti è assai possibile che una famiglia abbia pianificato le proprie spese basandosi sul reddito corrente e illudendosi che l’ente previdenziale fosse obbligato a restituire tutte le risorse che gli sono state prestate; potrebbe essere che la sopravvissuta abbia uno o più mutui in essere stipulati basandosi sulla capacità reddituale della famiglia, che sia impegnata ancora nel far studiare i figli, che abbia un anziano a carico; ovviamente questi particolari, tutt’altro che irrilevanti, sfuggono non solo al legislatore superficiale, ma anche alla possibilità di verifica di chi deve attuare le norme; più semplice arrogarsi il diritto di tagliare senza curarsi di sapere.
Come sempre, ci sarebbe un modo incontrovertibile di evitare queste possibili e assurde distorsioni ed è quello di trattare le pensioni come dovrebbero e cioè come una previdenza reale: tanto hai accantonato, tanto riceverai. Non è particolarmente difficile e anche un politico potrebbe comprendere il meccanismo se qualcuno glielo spiegasse lentamente; anzi, basterebbe che il politico di turno si facesse illustrare dettagliatamente il funzionamento dei fondi previdenziali assicurativi che hanno un funzionamento elementare: alla cessazione dell’attività lavorativa e dei versamenti al fondo, l’assicurato può decidere se optare per una liquidazione istantanea di tutto il montante contrattuale oppure se accedere a un vitalizio calcolato sulla base dell’ammontare versato e dell’aspettativa di vita; nel secondo caso ci sono opzioni che prevedono il termine delle erogazioni vitalizie al decesso (assegno più elevato) oppure la continuazione in forma ridotta agli eredi (assegno più basso). Tutto questo richiede che sia noto incontrovertibilmente l’ammontare dei contributi versati e a meno che Inps significhi: Incertezza Nei Propri Sistemi, questo dovrebbe essere dato per scontato.
Con un meccanismo non ideologico, razionale e sensato, si potrebbe avere un approccio qualitativo (che sarebbe stato e sarebbe raccomandabile in ogni occasione nella quale si mette mano ai trattamenti pensionistici): si interviene sulla base di contributi versati, garantendo a ciascuno, pensionato o sopravvissuto, che l’assegno sia congruente con gli accantonamenti e che garantisca così una certa continuità del tenore di vita tra l’attività lavorativa e la vecchiaia.
Per tornare alla nonna di Renzi, se il suo assegno di reversibilità è equamente commisurato ai contributi versati dal coniuge defunto e alla durata statisticamente presunta della sua erogazione, suo nipote Matteo dovrebbe lasciarla in pace e che faccia delle risorse che l’Inps deve restituirle l’uso che crede, se invece l’assegno è previdenzialmente sproporzionato lo si riveda, ma così anche tutti quelli in analoghe condizioni, siano essi di reversibilità o meno; sempre, ovviamente, fatti salvi quelli minimi di natura puramente assistenziale, la cui gestione non sarebbe male togliere all’Inps affinché si metta finalmente a fare pura previdenza.
Ma non c’è da farsi illusioni, ci sono troppi interessi e resistenze che impediscono una valutazione squisitamente previdenziale; meglio il solito prelievo al bancomat delle pensioni con più contributi. Senza neppure dover digitare il pin.
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Inoltre, si chiede di "sostenere il piano arabo per la ricostruzione della Striscia di Gaza ed ogni iniziativa diplomatica volta ad assicurare il rispetto della tregua e un reale rilancio del processo di pace: per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, per la protezione dei civili e per la fine delle violenze nei territori palestinesi occupati, per il rispetto della tregua in Libano e per scongiurare il rischio di futuri attacchi da parte di Hezbollah e Iran, nonché le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e, infine, affinché siano rispettate le risoluzioni delle Nazioni Unite".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo di "ribadire la ferma contrarietà all'utilizzo dei Fondi di coesione europei per il finanziamento e l'aumento delle spese militari". E' quanto si legge nella risoluzione dem sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo di "scegliere senza esitazioni e ambiguità, di fronte alle minacce globali e alle sfide inedite rappresentate dalla nuova amministrazione americane, l’interesse europeo, all’interno del quale si promuove e realizza il nostro interesse nazionale, anche una attraverso la costruzione di alleanze, a partire dai paesi fondatori dell’Europa, per collocare l’Italia sulla frontiera più avanzata dell’integrazione contro le spinte disgregatrici e i ripiegamenti nazionalisti". E' quanto si legge nella risoluzione dem sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Ribadire la ferma condanna della grave, inammissibile e ingiustificata aggressione russa dell'Ucraina e a continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, promuovendo con urgenza un’iniziativa diplomatica e politica autonoma dell'Unione europea, in collaborazione con gli alleati, per il perseguimento di una pace giusta e sicura, che preservi i diritti del popolo ucraino a partire da quello alla propria autoderminazione, l’ordine internazionale basato sulle regole e offra le necessarie garanzie di sicurezza per una soluzione duratura". E' quanto si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Il piano ReArmEU, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune che garantisca la deterrenza e un percorso di investimenti comuni in sicurezza realizzati non a detrimento delle priorità sociali, di coesione e sviluppo dell’Unione". Si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
"La difesa non può essere considerato un bene pubblico separato dal benessere sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro sicurezza sociale ed economica: tanto più l’affermazione dei nazionalismi disgregatori dell’unità europea è legata anche alla percezione di insicurezza economica e sociale, nonché alla paura nei confronti delle sfide globali".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Sostenere una risposta europea ed unitaria alle politiche dei dazi dell’amministrazione Trump, che escluda ogni controproducente e inadeguata tentazione di bilateralizzare la risoluzione del conflitto commerciale, e che ampli le contromisure includendo i servizi e i diritti di proprietà intellettuale delle Big Tech, rilanciando anche l’iniziativa multilaterale per l’introduzione della Global Minimum Tax". E' quanto chiede il Pd al governo nella risoluzione sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo, nella risoluzione presentata sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni, di "collocare l’Italia da protagonista nella costruzione di una vera difesa comune europea e non di un riarmo degli eserciti nazionali privo di coordinamento, esprimendo la chiara volontà politica di andare avanti nel percorso di realizzazione di un’unione della difesa, anche partendo da forme di cooperazione rafforzata o integrazione differenziata tra Stati membri".