Chissà cosa devono avere pensato Gennaro ed altre tre lavoratrici dipendenti del tempio del Buon Consiglio a Capodimonte quando si sono visti recapitare una lettera di licenziamento dalla Curia di Napoli?
Eppure Gennaro, un omone di oltre 40 anni con due bambini piccoli, lavorava sin dal 1992 alle dipendenze della diocesi partenopea.
Che da largo Donnaregina, solenne sede della Chiesa di Napoli, non si fossero sbagliati fu immediatamente chiaro a Gennaro ed alle tre donne che vedevano infrangersi il sogno di mantenere un lavoro ed una dignità.
Che si trattasse di un lavoro è fuori da ogni ragionevole dubbio in quanto la sede presso la quale prestavano servizio si è occupata per molti anni di offrire alloggio per anziane donne.
D’altra parte questo avveniva coerentemente ai desideri della fondatrice del sito, Madre Landi, che lasciò al cardinale dell’epoca oltre alla Basilica, meta di centinaia di matrimoni all’anno, anche 50 cespiti immobiliari.
Se non vi è dubbio che anche la Chiesa di Napoli non possa rimanere insensibile al potente invito alla sobrietà che viene da Papa Francesco allora il licenziamento di quattro lavoratori appare ancora più assurdo.
Assurdo e irragionevole.
Nella lettera di licenziamento (“per cessata attività” della struttura, questa la motivazione ufficiale) non si tiene minimamente conto del fatto che nelle immediate adiacenze esiste la “casa del clero”. Questa struttura è destinata ad accogliere anziani sacerdoti e occupa già quattro lavoratori forse non provvisti di tutte le tutele lavorative necessarie.
Si comprende come l’esigenza che da Roma l’autorevole voce del Santo Padre sia ascoltata anche a Napoli diventa sempre più forte.
A me lo ha chiesto Gennaro, il papà di un bimbo di 3 ed un altro di 8 anni, chi può rispondergli?